di Roberto Livi

"Vol­vie­ron". Sono tor­nati. È il refrain ripe­tuto dai blog cubani e rap­pre­sen­tato ieri dalla grande foto in prima pagina del quo­ti­diano del pc Granma, con il pre­si­dente Raúl Castro — in divisa da gene­rale — e i "cin­que eroi anti­ter­ro­ri­sti" — Gerardo Her­nán­dez, Ramón Labañino, Anto­nio Guer­rero — scam­biati con il con­trat­ti­sta ame­ri­cano Alan Gross e con René Gon­zá­lez e Fer­nando González.

Dopo lo shock emo­tivo dell’annuncio del pre­si­dente Raúl Castro della fine del cin­quan­ten­nale con­flitto diplo­ma­tico con gli Stati uniti, i cubani si sono con­cessi mer­co­ledì notte la grande gioia del "ritorno a casa" dei tre "cubani ingiu­sta­mente car­ce­rati", del loro abbrac­cio con i fami­gliari e, final­mente, con il pre­si­dente. Le imma­gini pas­sate in tele­vi­sione hanno dato la sen­sa­zione con­creta che qual­cosa di grande e inspe­rato sia acca­duto. Che la pro­messa di Fidel, che nel 2001 aveva assi­cu­rato "Vol­ve­rán" — cioè che li avrebbe "ripor­tati a casa" — è stata man­te­nuta. Già nel pome­rig­gio nelle strade cen­trali dell’Avana erano ini­ziate mani­fe­sta­zioni spon­ta­nee per la "vit­to­ria di Cuba".

A mobi­li­tarsi, soprat­tutto gli stu­denti uni­ver­si­tari — "Tirate de la cama", salta giù dal letto, reci­tava un car­tello — per cele­brare la fine del cin­quan­ten­nale con­flitto diplo­ma­tico e — si spera– poli­tico ed eco­no­mico con il potente vicino nor­da­me­ri­cano. Anche nelle scuole, come nelle ele­men­tari di mio figlio, i bam­bini sono scesi nell’atrio, dove quasi sem­pre sono appese le foto dei "cin­que" per cele­brare un evento sto­rico. "Non c’è biso­gno di essere grande per essere cubano", escla­mava un ragaz­zino delle pri­ma­rie "Guer­ri­gliero eroico" (Che Gue­vara), espo­nente di una gene­ra­zione che, forse, potrà cre­scere in un’epoca in cui — come ha affer­mato Raúl Castro– Cuba e Usa impa­rino "a con­vi­vere in forma civile" nono­stante le dif­fe­renze. E, soprat­tutto, senza essere oggetto delle enormi restri­zioni impo­ste del blocco eco­no­mico sta­tu­ni­tense che ha dan­neg­giato soprat­tutto i gio­vani cubani (scar­sezza di mate­riali sani­tari neces­sari per curarli, ma anche degli ele­men­tari stru­menti moderni per aiu­tare l’istruzione).

Anche nell’Assemblea popo­lare, dove da mar­tedì i depu­tati cubani esa­mi­nano il corso delle riforme economico-sociali pro­mosse dal governo e soprat­tutto le pro­spet­tive eco­no­mi­che in un periodo di dif­fi­cile crisi inter­na­zio­nale — le rea­zioni sono state prima di tutto emo­tive. La caduta del muro diplo­ma­tico che per più di mezzo secolo ha sepa­rato le due sponde del golfo di Flo­rida non com­por­tano auto­ma­ti­ca­mente un pro­cesso di riso­lu­zione del con­flitto poli­tico. E soprat­tutto la fine dell’embargo che nella dif­fi­cile con­giun­tura cubana ha un peso, anche rile­vante, ma certo non costi­tui­sce il noc­ciolo stra­te­gico dei cam­bia­menti in corso. E su que­sto ter­reno, appunto, le rea­zioni uffi­ciali sono più sfu­mate.

Il cam­mino da com­piere è lungo e pieno di osta­coli, come dimo­stra la volontà del ver­tice del Par­tito repub­bli­cano sta­tu­ni­tense — in testa i rap­pre­sen­tanti della linea dura dei cubano-americani di Miami — di dare bat­ta­glia al pre­si­dente Obama. Che ieri, attra­verso il suo por­ta­voce Josh Ear­nest, non ha escluso "una visita del pre­si­dente Castro" negli States.

Chi invece sem­bra avere pochi dubbi in pro­po­sito sono i lea­der della dis­si­denza e della debole e divisa oppo­si­zione cubana. La mag­gio­ranza si è espressa in modo for­te­mente cri­tico nei con­fronti della deci­sione di Obama di abbat­tere il muro diplo­ma­tico e di ini­ziare un pro­cesso nel quale le dif­fe­renze poli­ti­che — diritti umani, demo­cra­zia rap­pre­sen­ta­tiva, libertà sin­da­cali e di stampa — siano oggetto di un dia­logo e non di una poli­tica di inge­renza e di govern­mente chan­ging. Ancora una volta si è distinta la super­blo­guera Yoani Sán­chez, anche per­ché, secondo l’analisi dello sto­rico Enri­que Lopez Oliva, vede cadere la spe­ranza di "essere indi­vi­duata come la lea­der di un cam­bio a Cuba e si vede ridotta a una pedina quasi insi­gni­fi­cante". Altri, nella sfera dei blog legati al governo, sono ben più duri e affer­mano che in futuro sarà "meno red­di­ti­zio" il "mestiere di oppositore".

Marta Roque, che ha par­te­ci­pato a una riu­nione indetta dalla sezione di inte­resse Usa (futura amba­sciata) all’Avana con i lea­der dell’opposizione, si è limi­tata a un laco­nico "Vedremo gli svi­luppi e quali pri­gio­nieri poli­tici saranno messi in libertà". Più costrut­tivo Rafael Rojas, diret­tore di Con­vi­ven­cia, il quale ha esor­tato a cogliere l’apertura ame­ri­cana come «un’opportunità e non un osta­colo per gua­da­gnare visi­bi­lità» nella società cubana. Un con­si­glio per ora poco ascol­tato.

Anche ieri nei blog dell’opposizione veniva ampli­f­cato un tema che, in effetti, suscita per­ples­sità nella popo­la­zione, oltre che tra gli ana­li­sti. Per­ché, almeno fino al momento in cui scri­viamo, non si sia espresso Fidel Castro, che pur avendo lasciato al fra­tello minore la gestione poli­tica del paese, rimane il lider maximo. Le spe­cu­la­zioni su un aggra­va­mento del suo stato di salute arri­vano a figu­rare un Fidel da giorni inca­pace di espri­mersi, se non in coma — come ha affer­mato ieri un ex agente della Cia ricon­ver­ti­tosi in ana­li­sta Usa. E che la sua morte sarà annun­ciata nei pros­simi giorni. Si tratta di spe­cu­la­zioni che non hanno nem­meno il sapore della novità, ma di certo la pre­oc­cu­pa­zione si avverte tra i cubani.

La "nuova era" che si apre vede la Chiesa cat­to­lica cubana "che si con­ferma come un attore poli­tico di peso nell’isola", secondo quando afferma il pro­fes­sore di Sto­ria delle reli­gioni, Lopez Oliva. Papa Fran­ce­sco — argo­menta — "ha avuto un ruolo stra­te­gico" nel favo­rire l’apertura di un dia­logo tra Usa e Cuba, come hanno pub­bli­ca­mente rico­no­sciuto i due pre­si­denti. Pochi minuti dopo le loro dichia­ra­zioni, infatti, la segre­ta­ria di Stato del Vati­cano ha emesso un comu­ni­cato per infor­mare che "nel corso degli ultimi mesi" Jorge Mario Ber­go­glio aveva scritto una let­tera a entrambi i lea­der "«invi­tan­doli a risol­vere le que­stioni uma­ni­ta­rie di comune inte­resse, come la situa­zione di alcuni dete­nuti".

Que­sti temi, come anche la lotta all’estremismo armato isla­mico e più in gene­rale la situa­zione in Medio oriente, sono stati l’oggetto di un col­lo­quio fac­cia a fac­cia che Obama ha avuto lo scorso marzo con il pon­te­fice. Non solo, il Vati­cano è impe­gnato anche sul fronte della "nuova rot­tura", quella tra Usa e Vene­zuela. Dun­que, papa Fran­ce­sco si pre­senta come "il gran media­tore" e il suo cari­sma per­so­nale e la forza della diplo­ma­zia Vati­cana — pre­sente in tutta l’America latina– rap­pre­sen­tano, per Lopez Oliva, "un gran soste­gno" alla Chiesa cat­to­lica cubana. "Que­sto è solo il primo passo, al quale ne segui­ranno altri che dovranno affron­tare la sostanza poli­tica e sociale del cin­quan­ten­nale con­flitto. Il segre­ta­rio di Stato Kerry verrà a Cuba, come ha annun­ciato, ed è molto pro­ba­bile che in que­ste occa­sioni la Chiesa con­ti­nuerà la sua opera di media­zione. Il car­di­nale cubano Ortega è uno dei con­si­glieri del papa". Di fatto, secondo il pro­fes­sore — il pre­si­dente cubano affida alla Chiesa cat­to­lica un ruolo di alleato-oppositore che taglia l’erba sotto i piedi all’opposizione cubana. E in con­tro­luce "si avverte la crea­zione di un movi­mento poli­tico cat­to­lico" che al momento di una futura aper­tura poli­tica a Cuba potrà gio­care il ruolo di una Demo­cra­zia cristiana.

Infine, il pro­fes­sore con­corda con quanto detto mer­co­ledì da Euse­bio Leal, il famoso Isto­ria­dor dell’Avana e prin­ci­pale arte­fice del pro­cesso di restauro dell’Avana colo­niale (Habana Vieja). Ovvero che l’operato della Chiesa si intrec­cia con la reli­gio­sità afro-cubana, sin­cre­tica con quella cat­to­lica — e che, spe­cie in un periodo di crisi come quello l’attuale, pre­senta una forte cre­scita in tutta l’isola.

L’apertura tra Cuba e Usa coin­cide con i grandi festeg­gia­menti popo­lari in tutta l’isola — messe com­prese — per cele­brare San Lazaro, per la san­te­ria afro-cubana l’ori­sha Babalù Ayé. Nelle strade dell’Avana nella notte di mer­co­ledì l’apertura ame­ri­cana è stata vista anche come un "mira­colo di Babalù Ayé" e così salu­tata da migliaia e migliaia di per­sone. In fondo, il cit­ta­dino comune, il cubano de a pié, è stato colto di sor­presa dal grande annun­cio e dalle pro­spet­tive che si aprono e di cui è dif­fi­cile valu­tare gli svi­luppi. E dun­que, spesso ha rea­gito aggrap­pan­dosi alla vita — dif­fi­cile — di tutti i giorni augu­ran­dosi che la rot­tura del muro con gli Usa com­porti bene­fici con­creti: più pro­dotti nei negozi e a prezzi più bassi, un migli­ra­mento dei tra­sporti e così via. E come spesso fa chiede aiuto a San Lazaro.

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