di Carlo Altini

L’accostamento di Machia­velli all’idea della ragion di Stato è dif­fuso nel senso comune da molti decenni. Tra gli stu­diosi que­sto acco­sta­mento non è però dato per scon­tato: sono infatti molti coloro che inter­pre­tano il segre­ta­rio fio­ren­tino come il soste­ni­tore delle virtù civi­che e di un sistema repub­bli­cano in cui, gra­zie al governo della legge, la libertà della comu­nità pro­cede di pari passo con la libertà del sin­golo. In quest’ottica, il governo della legge è garan­zia rispetto all’arbitrarietà dei tiranni e delle poli­ti­che fon­date sulla ragion di Stato. Il libro di Michel Senel­lart Machia­vel­li­smo e ragion di Stato (Ombre corte, pp. 155, euro 13,50), curato da Lorenzo Coc­coli, inter­viene pro­prio su que­sto tema cri­ti­cando la «leg­genda nera» di Machia­velli come per­so­ni­fi­ca­zione del male e del vizio, soste­ni­tore di una con­ce­zione del potere intesa come volontà di potenza: è infatti la rige­ne­ra­zione delle virtù civi­che, e non la brama di potere, a essere al cen­tro della rifles­sione machiavelliana.

La dina­mica dei con­trari
Senel­lart con­te­sta che l’autore del Prin­cipe possa essere rite­nuto colui che tra­sforma un’eccezione (l’immoralità di un’azione poli­tica) in un pre­cetto per­ma­nente dell’ordine etico-giuridico. Senza dub­bio l’"uomo poli­tico" non deve cono­scere solo il bene ma anche il male, per­ché mol­te­plici e con­trad­dit­to­rie sono le situa­zioni in cui si trova a ope­rare tra vizio e virtù, tra carità e cru­deltà: ciò non signi­fica però che l’immoralità debba diven­tare un prin­ci­pio car­dine della sua azione. Que­sta dina­mica machia­vel­liana dei «con­trari» è nota fin da Fran­cis Bacon, che l’ha elo­giata senza reti­cenze: «Noi dob­biamo rin­gra­ziare Machia­velli e gli scrit­tori come lui, che aper­ta­mente e senza infin­gi­menti dicono quello che gli uomini di solito fanno, non quello che deb­bono fare. Non sarebbe, infatti, pos­si­bile riu­nire in una sola per­sona la pru­denza del ser­pente e l’innocenza della colomba, se que­sta per­sona non cono­scesse a fondo la natura stessa del male. Senza que­sta cono­scenza la virtù non avrà né difesa né sal­va­guar­dia suf­fi­ciente. Anzi, in nes­sun modo potrà il buono cor­reg­gere ed emen­dare il cat­tivo, se non avrà appreso in pre­ce­denza tutti i recessi e le pro­fon­dità della mali­zia umana".

La cri­tica dell’identificazione tra machia­vel­li­smo e ragion di Stato pro­po­sta da Senel­lart si snoda in almeno tre dire­zioni: in primo luogo, distin­gue tra Machia­velli e il machia­vel­li­smo; in secondo luogo, indi­vi­dua l’origine dell’idea di «ragion di Stato» nel pen­siero medie­vale fin dal XII secolo (in par­ti­co­lare nel con­cetto di ratio sta­tus); infine, sot­to­li­nea le dif­fe­renze tra Machia­velli e Gio­vanni Botero, il vero fon­da­tore della dot­trina moderna della ragion di Stato. Ed è su quest’ultimo punto che sem­bra inte­res­sante sof­fer­mare l’attenzione, anche in vista delle sue rica­dute con­tem­po­ra­nee: la ragion di Stato desi­gna infatti una pra­tica del potere che non riguarda solo la prima età moderna, ma anche la nostra con­tem­po­ra­neità (basti pen­sare, come esem­pio, alle que­stioni coperte dal segreto di Stato e alle leggi straor­di­na­rie ema­nate in nome della lotta al ter­ro­ri­smo), che dun­que testi­mo­nia la per­si­stenza di pra­ti­che asso­lu­ti­sti­che nelle demo­cra­zie costi­tu­zio­nali e nello Stato di diritto, evi­denti nella pos­si­bi­lità di vio­lare i diritti indi­vi­duali per garan­tire l’interesse col­let­tivo. Ma nelle demo­cra­zie attuali fino a che punto un tale scam­bio può essere giu­sti­fi­cato? E tale scam­bio è oggi solo un’eccezione, che nega il fon­da­mento indi­vi­dua­li­stico dello Stato, o è piut­to­sto la norma?

Con "ragion di Stato" si intende gene­ral­mente una con­ce­zione in base alla quale il potere è auto­riz­zato a vio­lare il diritto in nome dell’interesse pub­blico (o, più spesso, dell’interesse dei gover­nanti). Secondo Senel­lart, la con­ce­zione moderna della ragion di Stato non viene però fon­data da Machia­velli bensì da Botero, che modella la sua teo­ria uti­liz­zando una con­cet­tua­lità "eco­no­mica" che sarà alla base del libe­ra­li­smo moderno, e non la con­cet­tua­lità poli­tica machia­vel­liana. Botero espone infatti "il pro­gramma di un’arte di gover­nare fon­data non sulla guerra, ma sullo sfrut­ta­mento inten­sivo delle risorse mate­riali e umane". In un’ottica mer­can­ti­li­stica e proto-capitalistica, Botero basa l’idea della ragion di Stato su una con­ce­zione "«eco­no­mi­ci­sta" della razio­na­lità moderna che mira all’incremento dell’industria e della ric­chezza inteso come stru­mento di governo, spo­stando dun­que la que­stione poli­tica dall’etica all’economia, l’unica sfera di neu­tra­liz­za­zione del con­flitto poli­tico: lo Stato si governa con­si­de­rando cen­trale non l’educazione alla virtù ma la sod­di­sfa­zione degli inte­ressi, la cui uni­forme rego­la­rità e pre­ve­di­bi­lità è resa pos­si­bile dal cal­colo razio­nale. In que­sto modo Botero apre la strada al libe­ra­li­smo moderno inteso come la solu­zione del pro­blema poli­tico – la que­stione del potere – attra­verso mezzi economici.

Pos­si­bi­lità inat­tese
Al con­tra­rio, in Machia­velli la poli­tica emerge come il luogo per eccel­lenza del cam­bia­mento e del movi­mento: il flusso con­ti­nuo degli eventi è impre­ve­di­bile e non può essere ridotto a schemi deter­mi­nati dal cal­colo eco­no­mico o dalla ragion di Stato. Le varia­zioni delle forme di governo, con il pas­sag­gio da forme sane a forme cor­rotte, e vice­versa, "nac­quono a caso intra gli uomini". Pur inter­ve­nendo "a caso", le varia­zioni non avven­gono però secondo un ordine arbi­tra­rio. Per Machia­velli il «caso» non è solo l’apparizione di eventi inat­tesi e incon­trol­la­bili che modi­fi­cano il corso degli eventi, ma è anche una causa "coa­diu­vante", cioè un insieme di coin­ci­denze che com­pli­cano o risol­vono per l’attore sto­rico una situa­zione ini­zial­mente svi­lup­pa­tasi in una diversa dire­zione. In que­sta acce­zione il caso diventa "occa­sione", pos­si­bi­lità inat­tesa che la virtù umana deve saper cogliere: ciò che conta agli occhi di Machia­velli è la pos­si­bi­lità di sfug­gire a una logica mec­ca­nica degli eventi che, come un destino ine­lut­ta­bile, impe­di­rebbe ogni azione all’uomo e ogni pos­si­bi­lità di eser­ci­zio della virtù, sia essa indi­vi­duale o collettiva.

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