La beccaccia, i cani e “il fucile ragionato”
Elio Clero Bertoldi
PERUGIA - Non ci sono più le stagioni di una volta e neppure le beccacce di qualche lustro fa. Un poco, forse, per l’evoluzione naturale della specie (assicurano gli esperti che la fuga a L o quella a colonna, non é più caratteristica di questi volatili); un poco per l’habitat che muta continuamente e, si teme, irreversibilmente; un poco per l’aumento costante di uno dei competitor della beccaccia: il cinghiale che grufola e sconvolge il terreno umido dove la “regina del bosco” ama infilare il suo becco e raccogliere, a beccate, il cibo.
Resta, tuttavia, la passione per questo tipo di caccia elitaria.
Di questo e di più si é parlato nella sede della Federcaccia nel corso della presentazione del libro “Antologia della beccaccia - Mito e contromito” (Guardastelle edizioni), scritto da Vladimiro Palmieri, già dirigente della Regione Umbria, giornalista, collaboratore di testate specialistiche e apprezzato autore di numerosi libri sulla attività venatoria (a cominciare da “La caccia alle Palombe”).
Relatori Vincenzo Celano, scrittore e divulgatore scientifico di grande livello, fresco vincitore del Premio Carlo Levi 2014 per il libro “L’animale a sei zampe”, esperto di caccia alla beccaccia e di setter inglese; Gigi Scardocci, giornalista Rai e, pure lui, cacciatore e il padrone di casa, Franco Di Marco, presidente di Federcaccia.
Un appello all’uso del “fucile ragionato” é venuto da Celano, che ha ricordato come il rispetto della natura debba essere una costante del vero cacciatore. Lo scrittore ha anche pregato il mondo venatorio di smettere di parlare dei cani come “ausiliari”, termine irrispettoso e freddo di un animale il cui ruolo é, invece, primario: il feeling forte e profondo tra l’uomo e il suo compagno é il segreto della buona riuscita di ogni impresa venatoria.
Palmieri, in effetti, descrive non solo le particolarità, le furbizie le astuzie della beccaccia, alcune curiose e gustosissime, ma pure le capacità dei segugi, dei cani da punta e da ferma. Nei suoi racconti di battute, non solo in Umbria, fotografa tutta una serie di storie, davvero intriganti e interessanti da leggere, tanto da far assurgere il testo ad una sorta di “summa” di questo tipo di caccia e da far inserire, autorevolmente, la pubblicazione nel filone, antico, antichissimo, dei libri sulla caccia che hanno toccato il loro apice in epoca medievale (con il “De arte venandi cum avibus” di Federico II, stupor mundi) e nell’Ottocento. Un libro che ha il sapore di un incontro tra amici che narrano, a turno, avventure e storie di uomini e di animali (sempre citando i testimoni dei fatti con tanto di nome e cognome), magari davanti ad un fuoco scoppiettante e ad un buon bicchiere di rosso.

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