Festival Spoleto/ Ironico Marthaler in musica, da Wagner ai Kinks
(di Paolo Petroni) (ANSA) - SPOLETO - Sulle note dei piu' famosi musical americani degli anni '40 e '50, da Oklahoma a My fair lady, dirette in Piazza Duomo da Wayne Marshall, si e' chiuso ieri la 57/ma edizione del Festival, che in queste ultime giornate ha visto, oltre all'arrivo della Paul
Tylor Dance Company, pure il debutto e il successo al san Niccolo' di ''King Size'', un divertente e anch'esso musicale e canoro spettacolo di quel particolarissimo, personalissimo regista che e' Christoph Marthaler.
Svizzero sessantenne, formatosi alla scuola di Lecoq e attivo da anni nel teatro musicale, gioca sulle situazioni, sulla fisicita' dei personaggi, che paiono quasi marionette, dai gesti semplici e rispettivi, tranne quando parte la musica e cominciano a cantare, a esprimere i propri sentimenti, sempre costruendo azioni e un contesto assolutamente irrazionale, ora provocatorio, ora giocoso, il tutto con una vena ironica o sarcastica che evita sempre la caricatura. Cosi' si passa da arie di Tristano e Isotta di Wagner o delle Nozze di Figaro di Mozart e Lieder di Schumann a Sonny Boy di Al Jolson, a I'll be there dei Jackson Five o I go to sleep dei Kinks, e cosi' via.
Il King Size del titolo di questo lavoro si riferisce alle dimensioni di un grande letto al centro di una camera azzurra, mentre in proscenio c'e' una pianola elettronica e un pianoforte. Il luogo e' abitato da due personaggio, ora camerieri, ora padroni di casa, che si cambiano d'abito, si alzano e vanno a letto piu' volte, mentre la stanza e' attraversata da un curioso personaggio, una donna di una certa eta' con un borsetta da cui, quando la camera e' vuota e allora vi si ferma, estrae di tutto, prima un leggio, poi degli spaghetti che mangia o un fazzoletto insanguinato. Un po' come la portatrice di una pianta nel film Helzapoppin', moderna derivazione del classico tormentone, metafisica e spiazzante. Ed e' forse lei, l'ottima, impassibile Nikola Weisse, la vera protagonista, come si sospetta alla fine, quando afferma, sulle note di Alban Berg, che dovrebbe smetterla di pensare e che non c'e' nulla di razionale.
La coppia di personaggi, il mezzosoprano Tora Augestad e il cantante Michel Von Der Heide, come prigionieri dell'abitudine dei loro riti, trovano invece una vena sentimentale e talvolta malinconica solo quando si fermano e cantano, a letto, in piedi, seduti o chiusi dentro un armadio, anche se poi propongono due numeri in cui inscenano anche una spiritosa parodia di un balletto, quasi fossero usciti da un vecchio musical. E piu' va
avanti questa azione senza colpi di scena, anche se, per esempio, lei la vediamo uscire da una porta e rientrare da sotto il letto, piu' l'assurdita' acquista una connotazione comica e qualsiasi gesto extra suscita la risata. Con loro un terzo uomo, un misterioso pianista, Bendix Dethleffsen.
Marthaler, da parte sua, parla di evoluzione e metamorfosi, che al massimo pare una lenta presa di coscienza senza emozioni, un po' alla Buster Keaton, di una certa vanita' e insensatezza dell'esistenza e del quotidiano in particolare. Un gioco di alta qualita', imparentato con Ionesco come col cinema anni '40, condotto sempre col sorriso sulle labbra.

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