I perugini del Duecento e il mestiere delle armi
Il libero Comune di Perugia poteva contare, tra il 1200 e il 1300, su non meno di 500 cavalieri, su una popolazione globale di circa 30.000 abitanti. Il mestiere delle armi, di antica tradizione, richiamava ovviamente esponenti delle classi più nobili e ricche. E rappresentava certo un rischio (la vita, la caduta in disgrazia), ma anche una importante attività sociale ed economica.
Di questi aspetti ha parlato, a San Bevignate (sempre pieno per questi appuntamenti) il professor Jean Claude Maire Vigueur dell'università Roma Tre, che ha trattato il tema "Essere cavalieri in una città comunale", nel quadro degli incontri su "La storia dei Templari".
Nell'Archivio di Stato di Perugia sono conservati gli elenchi delle cavalcature con tanto di atto dei notai, assistiti da maniscalchi in grado di stabilire il valore di ogni capo. Le cavalcature, infatti, rappresentavano un elemento determinante per un cavaliere, il quale doveva possedere, quanto meno, un destriero possente, pesante, alto e, almeno un secondo cavallo di riserva (i più facoltosi ne possedevano anche tre o quattro), un palafreno (cavallo da cerimonia) e due ronzini, quale appoggio logistico. I destrieri - sorta di Ferrari dell'epoca rispetto ai ronzini, equiparabili ad una utilitaria - dovevano essere bene addestrati al fragore delle armi, alle grida, alla paura per risultare affidabili durante gli scontri e le battaglie, quando erano chiamati a raggiungere fino a 40 km all'ora nella fase di attacco.
Maire Vigueur ha affermato che un destriero di buon affidamento poteva costare non meno di 50 lire dell'epoca (il valore di una abitazione media di quei tempi), ma anche 100 e perfino 200 lire per gli animali migliori. Per affrontare l'alea del mestiere delle armi occorrevano molti soldi, importanti investimenti. Oltre alle cavalcature, al cavaliere risultava indispensabile possedere una armatura di offesa (almeno una lancia di una lunghezza di due metri e mezzo, una spada di un metro e un pugnale) e di difesa (un usbergo, cotta di metallo o di cuoio molto indurito, guanti per le mani, schinieri, elmo). Il relatore ha sottolineato che complessivamente il costo medio di questa armatura offensiva e difensiva si aggirava su altre 65-70 lire. Senza contare gli scudieri e le spese relative all'addestramento, all'allenamento e alla gestione dei cavalli.
Nonostante i costi la cavalleria rappresentava un business. I cavalieri, soprattutto, con la buona stagione, si davano alla cavalcate (o razzie) con il tacito consenso delle autorità comunali contro i nemici di Perugia. Questi raid, se sortivano esito positivo, fornivano bottino (in capi bovini e ovini, soprattutto) e prigionieri, attraverso i quali ottenere congrui riscatti. I rischi consistevano nel rimanere feriti, prigionieri o addirittura uccisi.
Ma la possibilità della preda rappresentava un richiamo molto forte. Alle volte i cavalieri si riunivano in 'societas', sorta di imprese commerciali. Per far miglior guadagno. Tanto più che i cavalieri riuscivano a farsi risarcire dal Comune i danni subiti: privatizzavano i guadagni e collettivizzavano le perdite.
Nulla di nuovo sotto il sole rispetto a diversi cavalieri del lavoro di oggi.




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