di Valentina Porcheddu

In uno scritto ine­dito – d’imminente pub­bli­ca­zione su euto​pia​ma​ga​zine​.eu e del quale è stato anti­ci­pato un breve estratto sul Cor­riere della Sera del 2 aprile –, Jac­ques Le Goff ci tra­smette l’ultima perla del suo inse­gna­mento, ricor­dan­doci che «l’identità euro­pea con­si­ste nel riven­di­care le ere­dità pro­ve­nienti dalle diverse epo­che che l’hanno segnata, prima fra tutte quella antica».

Secondo il com­pianto sto­rico fran­cese, «non è pos­si­bile oggi essere euro­pei senza avere un dia­logo con l’Antichità, senza sen­tirne il richiamo». Com­pito indi­spen­sa­bile è la con­ser­va­zione della memo­ria, radice dell’esistenza e «tram­po­lino di lan­cio verso l’avvenire».

Non è un caso che tale rifles­sione sia stata pro­vo­ca­to­ria­mente ripresa da Ema­nuele Greco nel Noti­zia­rio della Scuola archeo­lo­gica ita­liana di Atene, di cui è diret­tore da dieci anni. L’insigne archeo­logo si chiede, infatti, se abbia ancora un senso stu­diare gli anti­chi e – rifa­cen­dosi a un dibat­tito attuale che coin­volge filo­sofi quali Mar­tha Nus­sbaum – risponde che essendo la cul­tura greca (o, per meglio dire, greco-romana) il pila­stro fon­dante della cul­tura occi­den­tale, con lo stu­dio di quella lon­tana epoca esau­diamo una domanda di vitale impor­tanza e scon­giu­riamo l’affermarsi di un’umanità di tec­no­crati privi di sapere intel­let­tuale. Ma tale dia­logo imma­gi­na­rio e edi­fi­cante tra Le Goff, Greco e gli anti­chi, sem­bra non avere eco presso il governo del nostro paese, che pure di quelle radici euro­pee è uno degli scri­gni più pre­ziosi. Della stolta super­fi­cia­lità e del maso­chi­smo col quale la poli­tica ita­liana ammi­ni­stra il patri­mo­nio archeo­lo­gico, abbiamo quo­ti­dia­na­mente sotto gli occhi i disa­stri: i crolli a Pom­pei, il degrado, l’abbandono e le spe­cu­la­zioni di cui sono vit­tima cen­ti­naia di siti, dal Pala­tino alla Valle dei Templi.

Tut­ta­via, non si tratta solo di rovine per­ché a essere col­pita dalla man­canza di stra­te­gie lun­gi­mi­ranti è anche un solida isti­tu­zione, poco più che cen­te­na­ria, come la Scuola archeo­lo­gica ita­liana di Atene, la quale è una sorta di amba­sciata che col­tiva gli inte­ressi ita­liani per gli studi clas­sici in Gre­cia, pro­muo­vendo scavi e con­ve­gni. La Saia, inol­tre, com­prende un corso di spe­cia­liz­za­zione bien­nale, con­ven­zioni con le uni­ver­sità ita­liane per la for­ma­zione dot­to­rale e borse di post-dottorato.

La biblio­teca ha un patri­mo­nio di cin­quan­tre­mila volumi, si pub­bli­cano mono­gra­fie, un Annua­rio e si por­tano avanti pro­getti rile­vanti come quello incen­trato sulla Topo­gra­fia di Atene. "Da ormai sei anni abbiamo subito dei tagli sostan­ziali. Nel 2001 la Scuola aveva una dota­zione finan­zia­ria cor­ri­spon­dente a un milione di euro, nel 2013 il bud­get è sceso dra­sti­ca­mente a tre­cen­to­set­tan­ta­cin­que­mila euro, quest’anno si asse­sta sui 480 mila. Tut­ta­via solo le spese di base che ser­vono a pagare sti­pendi, borse di stu­dio e utenze rela­tive agli immo­bili ammon­tano a set­te­cen­to­mila. Finora, per soprav­vi­vere siamo dovuti ricor­rere a pic­coli risparmi accu­mu­lati negli anni pas­sati ma adesso siamo arri­vati al fondo del barile. Per que­sto, man­cando cen­to­cin­quan­ta­mila euro, ho lan­ciato un appello alla comu­nità inter­na­zio­nale" dice Ema­nuele Greco.

E se da una parte duole dover spe­rare nella gene­ro­sità di volen­te­rosi mece­nati, dall’altra ci si chiede se un Isti­tuto di for­ma­zione e ricerca possa ono­rare la sua mis­sione senza com­prare libri, rin­no­vare il per­so­nale e dare impulso a quelle atti­vità che fin dal prin­ci­pio del XX secolo hanno reso gli archeo­logi ita­liani i pro­ta­go­ni­sti di entu­sia­smanti sco­perte, da Creta al Dode­ca­neso. Su que­sto qua­dro già allar­mante pesa anche la com­pe­ti­zione con le altre Scuole stra­niere in Gre­cia, le quali pos­sono van­tare bilanci fino a cin­que o dieci volte supe­riori all’Italia, che pure è una delle mag­giori potenze indu­striali al mondo.

"Mi pia­ce­rebbe avere una rispo­sta dai nostri gover­nanti, che dices­sero quale futuro intrav­ve­dono per la Scuola ita­liana di Atene" con­clude Greco. E la stessa domanda la rivol­gono ai mini­stri per i Beni e le atti­vità cul­tu­rali e dell’Istruzione, uni­ver­sità e ricerca i tanti allievi della Saia e gli stu­denti che sognano di rag­giun­gere un giorno l’Ellade per poter emu­lare le gesta dei loro pre­de­ces­sori. Con lo spi­rito uma­ni­sta e poe­tico che fu di Byron e con la forza, tutta con­tem­po­ra­nea, d’intelligenze e idee da met­tere al ser­vi­zio di due paesi.

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