A San Bevignate ricordata la fine sul rogo dei Templari
di Elio Clero Bertoldi
PERUGIA - Perugia ha ricordato, a settecento anni esatti dalla morte sul rogo, il gran maestro dei Templari, Jacques De Molay, con una interessante conferenza tenuta dalla dottoressa Barbara Frale, uno dei maggiori esperti al mondo della storia dei cavalieri del Tempio. L'incontro - organizzato da Sonia Merli - si é tenuto, non a caso, nella chiesa di San Bevignate, costruita dai Templari e che contiene testimonianze pittoriche uniche (e bisognose di nuovi restauri) dell'ordine cavalleresco. Incredibile il numero delle persone presenti alla conferenza: un motivo in più per difende l'integrità dell'ambiente che circonda il monumento di Perugia.
Il De Moley, che aveva 73 anni, venne issato sulla pira il 18 marzo 1314, innalzata in una isoletta della Senna, intorno alle 15 del pomeriggio.
L'accusa che gli era stata mossa dal re di Francia, Filippo il Bello, era quella di eresia, idolatria, sodomia. Tuttavia una commissione speciale (formata da tre cardinali) inviata in tutta fretta e di nascosto a Parigi dal Papa Clemente V, stabilì - la dottoressa Frale ha ritrovato, negli archivi segreti del Vaticano nel 2001, la "pergamena di Chinon" in cui sono riportati gli atti della commissione che operò all'insaputa del re nell'estate del 1308, interrogando settanta templari a Poitiers - che il gran maestro, i vertici dell'ordine e gli stessi cavalieri erano innocenti. Unico "peccato" riconosciuto ai templari "atti irriverenti nei confronti della religione" per i quali De Molay venne comunque assolto dai legati papali. Assoluzione piena, con annullamento della scomunica, tanto che gli venne consentito, durante la prigionia, dallo stesso pontefice di poter assistere alla messa e di fare la comunione (cosa non consentita assolutamente agli scomunicati).
Perché, dunque, Filippo il Bello fece eseguire l'agghiacciante sentenza?
La Frale ha ricostruito tutta la vicenda. La situazione precipitò quando nel 1306 il sovrano francese, che aveva l'acqua alla gola, economicamente e che l'anno precedente aveva perso l'amata consorte Giovanna di Navarra, chiese - dopo aver cercato rifugio dai tumulti in città nel fortilizio dei templari, circondato da alte mura e difeso da torri possenti - un prestito ai cavalieri del tempo. Lo racconta, in un documento inedito ritrovato dalla Frale, il Templare di Tiro, notaio dell'ordine.
All'epoca De Molay si trovava in Terrasanta e il prestito venne concesso, per decisione autonoma, dal tesoriere dei templari: 400mila fiorini d'oro passarono nelle casse reali. In quel periodo Filippo doveva non solo chiudere la lunga e costosa guerra con gli inglesi, ma anche fornire di dote la figlia Isabella promessa sposa al sovrano d'Inghilterra.
Quando il gran maestro rientrò a Parigi, restò fortemente contrariato nel non poter contare su quei fondi che sarebbero dovuti servire per una crociata e, tolse immediatamente l'abito e l'incarico al tesoriere, Jacques de la Tour. Quest'ultimo bussò alle porte del re di Francia che sollecitò anche l'intervento del Papa, ma invano. Probabilmente De Molay fu particolarmente "ruvido", poco diplomatico, forse arrogante in questa vicenda (gettò sul fuoco anche una lettera che gli era stata inviata dal Papa, che lo invitava a perdonare il tesoriere e a restituirgli il posto), ma si trovava nel giusto, considerando che per mancanze nel gestire il tesoro templare sopra i quattro denari la regola stabiliva la cacciata dei membri dell'ordine.
I rapporti pregressi tra il re e il gran maestro non erano buoni da tempo. Filippo, creato re a 8 anni e nipote di due santi (il re Luigi IX e Elisabetta d'Ungheria) si sentiva investito di diritti divini ed era anche un cattolico integralista (risulta che ogni venerdì si sottoponesse alla "disciplina", cioè alla flagellazione, il movimento penitenziale partito da Perugia con Ranieri Fasano). Il De Molay era altrettanto scorbutico di carattere e non meno arrogante e quando si era cominciato a discutere (nel 1292 prima e di nuovo nel 1306) - su proposta di Raimondo Lullo - della unificazione degli ordini cavallereschi e della candidatura suprema da affidare al re di Francia, il gran maestro aveva espresso giudizi trancianti sul sovrano francese.
Oltre a tutto questo, la questione economica e le vicende politiche di Francia congiuravano contro il De Molay. Nel consiglio del re sedevano due avversari accaniti del gran maestro: Guillome de Nogaret, quello dello schiaffo, forse dato da Sciarra Colonna, a Bonifacio VIII e Henguerrand De Marigny, ministro delle finanze. Quest'ultimo era fratello dell'Arcivescovo di Sens, che nel 1310, contro il parere dello stesso Filippo, aveva mandato al rogo 52 templari.
Quel 18 marzo 1314 sembra che il re non si trovasse a Parigi. Il De Molay e il comandante templare di Guascogna vennero trasferiti, per ordine del consiglio reale ("per dominum regem", riportava la firma in calce) in barca sull'isoletta, recitarono una preghiera frettolosa (altro non fu loro concesso), furono issati sul rogo e arsi vivi.
Non solo Dante nella Divina Commedia e il padre del Boccaccio scrissero a favore dei condannati reputandoli brave persone, innocenti e vittime dell'avidità francese, ma estremamente significativo é pure un documento inedito ritrovato, anche questo, dalla Frale, in cui il genovese Cristiano Spinola, mercante della Curia romana, ma anche "spia" del re d'Aragona, scrive al sovrano iberico i retroscena che portarono alla sentenza finale.
Insomma il processo venne instaurato per questioni puramente economiche e la sentenza fu eseguita per motivi legati al livore profondo tra le parti.
Sia Clemente V (il francese Bertrando De Got, eletto a Perugia nel 1305), sia Filippo il Bello, morirono sempre in quell'anno funesto (1314). Qualcuno disse per la maledizione lanciata dal rogo proprio dal De Molay.
Particolare curioso: il ministro delle finanze De Marigny, uno dei piu feroci nemici personali del gran maestro, quattro anni più tardi, sotto il nuovo re di Francia, venne processato, condannato e impiccato per frode.




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