Gianfranco Capitta

Non sarà «piove, governo ladro», ma è sicuro che il governo c’entra lo stesso, assieme alle piogge dei giorni scorsi. Nean­che le più anti­che pie­tre d’Italia devono aver gra­dito la sosti­tu­zione di uno dei pochi mini­stri del dica­stero Letta che il pro­prio inca­rico l’aveva preso sul serio. Rimosso Bray, che quanto a «fare» molto ne aveva fatto, e ancor più semi­nato, pie­tre e muri mil­le­nari hanno comin­ciato a but­tarsi per terra, letteralmente.

A Pom­pei con uno stil­li­ci­dio quo­ti­diano di cui non aveva goduto nean­che un altro «mini­stro per caso», l’insuperabile Bondi; ma anche la Rocca di Vol­terra ha comin­ciato a cre­pi­tare in più punti, così come le Mura Aure­liane nella capi­tale, il cui sfa­celo non fa più noti­zia, se non fosse per il traf­fico costretto a «ese­cra­bili» devia­zioni.

L’arrivo del mini­stro Fran­ce­schini al Col­le­gio Romano, come tito­lare della cul­tura, è la prova pro­vata della casua­lità asso­luta del governo Renzi. Avendo attra­ver­sato tutte le pos­si­bili posi­zioni e cor­renti e schie­ra­menti den­tro il Pd, era giu­sta­mente can­di­dato a tutti i pos­si­bili mini­steri, dagli interni alla giu­sti­zia, dalla cul­tura a chissà cos’altro. La rou­lette acca­par­ra­to­ria dei gio­vani e delle gio­vani tito­lari ren­ziani di mini­stero, gli ha lasciato la cul­tura. E lui dev’essere stato con­tento: in fondo ha pub­bli­cato pure tre romanzi (anche se non ha pro­dotto stu­po­rosi versi, come il sud­detto poeta Bondi): meno di Faletti, ma quanti Fabio Volo. E davanti ai crolli a raf­fica di monu­menti mil­le­nari, ha indetto una bella riu­nione, che dovrebbe tem­pe­sti­va­mente tenersi pro­prio oggi.

Sem­bra il rac­conto di anti­che guerre pacioc­cone di Attalo su una antica Unità, ma così va il mondo, anche per il fre­ne­tico e com­pul­sivo governo Renzi. Resta il mistero del mini­stero – avrebbe detto Augu­sto Fras­si­neti – attri­bui­to­gli; ma deve esserci una forte affi­nità elet­tiva, quasi di tipo gene­tico. Non c’è biso­gno di essere pet­te­goli o gos­si­pari per col­le­gare la sua ad altre ascese. Poco più di un anno fa, l’attuale mini­stro della cul­tura si applicò furio­sa­mente agli sms, per rac­co­man­dare agli elet­tori romani una sua can­di­data di fidu­cia al Cam­pi­do­glio, Michela Di Biase. Quando i gior­nali sco­pri­rono la furia mes­sag­gi­stica, Fran­ce­schini can­di­da­mente ammise che si trat­tava della sua com­pa­gna, di cui rite­neva molto valido il lavoro cul­tu­rale svolto in un muni­ci­pio di Roma sud. Parole pro­fe­ti­che: Di Biase pre­siede ora la com­mis­sione con­si­liare cul­tura di Roma Capi­tale. E magari sarà anche imba­raz­zata ora di quello sprint a sms. Ma que­sto non le toglie l’iniziativa. Nelle set­ti­mane scorse ha riu­nito la com­mis­sione per valu­tare con i respon­sa­bili di Romaeu­ropa il futuro di quella fon­da­zione. Come se il pro­sciu­garsi dei con­tri­buti non sia un pro­blema gene­rale che vale per tutti, e la deci­sione di ripren­dersi il Pal­la­dium non sia venuta e decisa, piut­to­sto che dalla poli­tica, dal suo legit­timo pro­prie­ta­rio, l’università Roma Tre. Tutta poli­tica, in tempi vel­tro­niani, era stata l’iscrizione di un con­tri­buto ordi­na­rio, ovvero fisso a bilan­cio, per la stessa fon­da­zione. Con qual­che vago sapore di con­flitto d’interesse, che noto­ria­mente per il Pd è un esclu­si­vità ber­lu­sco­niana.

E ora Di Biase rischia addi­rit­tura l’en plein. Com­pa­iono in rete infatti lanci e arti­coli che attac­cano dura­mente l’assessore Barca, data in uscita dalla giunta Marino al pros­simo rim­pa­sto per le sue scelte rite­nute poco all’altezza. Pec­cato che nes­suno abbia avuto da ridire su scelte dav­vero low level, come quelle del cda del Tea­tro di Roma, per fare solo un esem­pio. La noti­zia vera è sulla più pro­ba­bile can­di­data a pren­derne il posto: Michela Di Biase. Col rischio che ci sia troppa cul­tura in una fami­glia sola…

Ma la cul­tura deve dav­vero sem­brare alla poli­tica una facile e «pre­sti­giosa» terra di con­qui­sta, a pre­scin­dere da capa­cità, pre­pa­ra­zione e equi­li­brio di ogni can­di­dato. La prova viene ancora dallo stesso mini­stero al Col­le­gio Romano. L’ordalia sot­to­gre­ta­riale ha tolto ogni velo di pudore ai nostri gover­nanti. Il sot­to­se­gre­ta­rio cala­brese esperto e garante di infor­ma­zione ha messo tre giorni a dimet­tersi, ma non bat­ton colpo gli altri inqui­siti che non dovreb­bero sedere sulle seg­gio­lette sot­to­mi­ni­ste­riali. E alla cul­tura, grande sor­presa (e grandi risate in giro, per chi casual­mente si fosse tro­vato a Cagliari venerdì scorso, giorno delle nomine) è arri­vata Fran­ce­sca Bar­rac­ciu. Era stata fatta riti­rare a forza dalla corsa a gover­na­tore della Sar­de­gna, e per for­tuna: i sardi non l’avrebbero votata come hanno fatto invece per Pigliaru che ha ripor­tato a sini­stra il governo dell’isola. Nono­stante lei fosse stata già lan­ciata daBal­larò, sem­pre pro­mo­tore di cause di san­ti­fi­ca­zione sba­gliate, tipo Pol­ve­rini. L’esponente poli­tica sarda è inqui­sita dalla magi­stra­tura per aver giu­sti­fi­cato rim­borsi per diverse decine di migliaia di euro come fos­sero stati spesi in ben­zina. In una regione che noto­ria­mente non dispone nean­che di una che una auto­strada…

Que­sta strana con­giun­zione astrale sul mini­stero della cul­tura ha un che di sini­stro (oltre che di sini­stra, certo). Magari si pre­para un com­mis­sa­ria­mento che costringa il reni­tente Baricco a gestire il mini­stero (magari assieme a Fari­netti, come girava voce quando il Valle fu occu­pato). Il pro­blema è che, impi­pan­dosi della poli­tica, le pie­tre mil­le­na­rie, a dif­fe­renza delle Stelle di Cro­nin, non stanno a guar­dare. E pre­fe­ri­scono sui­ci­darsi, beate loro.

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