Ottaviano Augusto - Res Gestae (Prima parte)
A cura di Luca Canali
La "regine delle iscrizioni", le Res gestae divi Augusti – restituita a integrità dalla collazione delle tre epigrafi del Monumentum Ancyranum in latino e in versione greca, dell'Antiochenum escusivamente in latino, dell’Apolliniense soltanto in versione greca, exemplaria sui pilastri bronzei ante mausoleum Augusti in Roma – costituisce la trasposizione epica, il manifesto politico, il fondamento propagandistico dell’auctoritas di Augusto e della pax riconquistata dopo la tempesta delle guerre civili.
In sintesi, le Res gestae sono l’affermazione ed esaltazione dell’auctoritas, senza alcun significato giuridico, bensì pragmatica, personale e rivoluzionaria, dell’imperator Caesar Augustus, in quanto “venerando” (Augustus con l’assunto prenome Imperator e il nome Caesar), rifondatore di Roma, e perciò nuovo Romolo (fondatore di Roma con un augurium, appunto, augustum), e pater patrie: una patria che doveva essere ricomposta dai frantumi delle guerre civili, dalla vanificazione dell’ordinamento costituzionale, dalla riduzione della repubblica a “un nome senza corpo né forma”.Le Res gestae sono dunque, anzitutto, fuori di ogni definizione giuridica e al di sopra di ogni potestà magistratuale, la documentazione di un potere carismatico, e l’autoglorificazione fino alle soglie dell’apoteosi, desultoriamente rifiutata o ammessa dal dinasta.
L’auctoritas costituisce il fulcro del potere monarchico del princeps senza che esso sia esposto all’esecrazione del regnum; non è più l’autorevolezza teorizzata da Cicerone, ma l’autorità di chi non teme rivali al suo prestigio personale, diventando nei fatti, prima che nelle teorizzazioni istituzionali, il signore incontrastato dell’impero. Augusto è pari ai magistrati suoi colleghi, per potestas, ma è superiore ad essi, e a tutti, per auctoritas; ed è al vertice di una piramide costituzionale formalmente simile all’ordinamento della antica res publica, ma sostanzialmente diversa da esso per il potere incontrastato, frutto di un sovvertimento rivoluzionario, che da quel vertice proveniva. Nulla doveva apparire cambiato perché tutto potesse essere rinnovato, sia pure proclamando di saldarsi al costume degli avi.
Ovviamente il mutamento si era svolto nell’ambito di una economia del privilegio. Sarebbe assurdo pensare, non solo per Augusto, ma anche per Cesare, a un radicalismo popolare: il proletariato era statouna componente essenziale dei mutamenti politici, come massa di manovra e ala marciante, inquadrata nelle legioni; ma la rivoluzione, in realtà, pure tra deviazioni tortuose e rovesciamenti di alleanze, era consistita nell’ascesa della “borghesia” equestre, dei novi homines, dei notabili municipali, degli affaristi italiche provinciali, non solo ai fastigi della vita sociale, in vittoriosa concorrenza con la stremata aristocrazia, ma anche ai vertici della vita politica: la prefettura dell’Egitto,delle coorti pretorie, e infine dell’annona, erano riservate agli equites; persino il governatorato di alcune province minori era affidato a equites; di equites era composta gran parte della ufficialità legionaria (i tribuni angusticlavii), oltre che la rete di burocrati direttamente legati ad Augusto nell’amministrazione dell’Italia e delle province; tutto ciò, unitamente all’immissione di equites in senato dopo le successive epurazioni compiute dal princeps, spiega la formula solenne e forse unica nella tradizione epigrafica latina, espressa nella conclusione delle Res gestae: senatus et equester ordop opulusque Romanus universus.
Sarebbe arbitrario, anche se suggestivo, paragonare la rottura rivoluzionaria di Cesare ed il consolidamento restaurativo di Augusto alle due fasi della rivoluzione borghese moderna, al "terrore" e al "termidoro"; tuttavia è un dato di fatto incontestabile che la concezione augustea di pax romana e di "regime", e cioè il senso dello Stato pacificatore come unità ecumenica fortemente centralizzata attraverso le maglie di una efficiente rete burocratica, coincideva con gli interessi dei borghesi ricchi della città e della campagna, dei piccoli e medi proprietari, ostili a ogni estremismo, bisognosi di ordine per amministrare o riorganizzare i propri beni dissestati dal "terrore" delle guerre civili; all'ideologia della pax e dell'imperium populi Romani aderivano con entusiasmo gli affaristi, i mercanti, i banchieri, i ceti più dinamici della società, interessati ad una espansione del mercato in un'ampia sfera governata con sufficiente uniformità di criteri, su strade sicure, rotte disinfestate dai pirati, in città fiorenti e pacifiche con servizi di posta rapidi e bene organizzati.
Il rispetto competitivo per la "nobiltà del sangue", il disprezzo del popolo e il vagheggiamento del buon governo in nome del privilegio economico, sono la psicologia e ideologia politica permanenti della borghesia agiata. Ho definito altrove le Res gestae come il manifesto del regime augusteo; ma la definizione è restrittiva; il testo contiene sì l'indicazione di una linea politica, ma la soluzione della disputa del "genere" cui l'index apparterrebbe è quella della accettazione sintetica di tutte le interpretazioni proposte: elogio funebre, rendiconto di gesta, testamento politico, imitazione delle iscrizioni rupestri dei sovrani orientali, base per l'apoteosi, autobiografia trionfale. Ma l'epica dell'auctoritas e la casistica per l'apoteosi di Augusto con la dea Roma restano prominenti.
Il testo è tutto in prima persona, escluse l'intestazione e l'appendice. Le strutture concettuali prevalenti sono quelle incentrate sulla "novità"e "primarietà" augustee di una serie di eventi e sul carattere privato di molte iniziative, provvidenze e donazioni di Augusto. Si intendeva così mettere in risalto la capacità dinamica di un uomo che aveva avviato un nuovo corso storico.
Il rilievo dato nelle Res gestae a fatti inusitati nell'intera vicenda di Roma, e avvenuti per la prima volta sotto Augusto, è impressionante: per deliberazione del senato, pretori, tribuni, un console, i cittadini più illustri, sono mandati incontro ad Augusto in Campania, onore mai tributato prima di allora a cittadino romano; sotto il principato di Augusto il Tempio di Giano Quirino, in segno di pace, è chiuso tre volte, mentre fin dalla fondazione di Roma ciò era accaduto solo due volte; Augusto è "il primo e il solo" a risarcire gli espropriati per la fondazione di coloniae in Italia e nelle province; la flotta di Augusto naviga per l'Oceano dalla foce del Reno fino al territorio dei Cimbri, dove nessun romano era mai giunto prima di allora; l'esercito romano si spinge fino ai popoli della Pannonia, mai raggiunti prima del principato di Augusto; ambascerie mai viste prima da nessun condottiero romano giungono a Roma dall'India; sperimentano la lealtà del popolo romano moltissime genti che prima di allora non avevano avuto alcun rapporto con i Romani. Le linee di questa rivendicazione di novità intende mettere in risalto sono l'omaggio reso al principe dai primi cittadini dello Stato e dai sovrani di popoli remoti in un'atmosfera favolosa; la stabilità della pace; il risarcimento in denaro a quanti avessero perduto terre per la fondazione di coloniae, cioè il riconoscimento condizionato, ma non per questo meno chiaro, del diritto di proprietà, inalienabile, o tutt'al più convertibile in moneta quando la ragione di Stato lo richiedesse.
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