Grandi Mostre. "L'altro Augusto" - Prima parte
di Marisa Ranieri Panetta
I Parte
Da diciottenne gracile e malaticcio a padrone del mondo. Fu una sorpresa anche per i contemporanei Ottaviano, il futuro Augusto, che conquistò e mantenne il massimo potere per quarant’anni, diventando esempio inimitabile per i successori. Un mito: per la storia di famiglia, la vittoria su Cleopatra e, soprattutto, per aver regalato a Roma, stremata da un susseguirsi di guerre civili, un periodo così lungo di pace.
In occasione del bimillenario della morte, avvenuta a Nola nel 14 dopo Cristo, le Scuderie del Quirinale ne avviano a Roma le celebrazioni con la mostra “Augusto”, dal 18 ottobre al 9 febbraio 2014 (catalogo Electa), che poi si trasferirà al Grand Palais di Parigi.
C’è già stata, in occasione del bimillenario della nascita di Augusto, una celebrazione dell’Imperatore. Correva l’anno 1937. I festeggiamenti, cominciati il 23 settembre durarono 12 mesi. A monte c’era un lavoro febbrile per restaurare monumenti sparsi per l’Italia, soprattutto a Roma, dove si ricomponeva l’Ara Pacis e si metteva mano all’isolamento del Mausoleo. Furono chiamati a collaborare i classicisti, italiani e stranieri, in un fervore di pubblicazioni e convegni. Benito Mussolini voleva celebrare, con il pretesto di Augusto, il fasto della romanità. La rassegna occupò il Palazzo delle Esposizioni e altri edifici, e fu senza precedenti per la mole di plastici (duecento) e calchi (tremila) delle opere più significative realizzate durante tutto l’impero. Nei vari ambienti erano illustrate la vita militare, la letteratura, l’architettura, le terme, le biblioteche, la medicina: tutto poi confluito nel Museo della Civiltà romana all’Eur, con la sala augustea che ospitava una stele con la Croce e narrazione del censimento secondo il Vangelo di Luca. In un regime che si ricollegava alle antiche glorie anche nei simboli e nei nomi, nessuno, più del fondatore dell’antico impero, poteva suggestionare, nell’intento apologetico dei promotori, un confronto diretto con Mussolini: per aver portato ordine e pace, riorganizzato la vita politica e amministrativa, moralizzando i costumi, rinnovato l’urbanistica. Il parallelismo fu ribadito dall’archeologo Giulio Quirino Giglioli, curatore della mostra di allora, nel discorso inaugurale che terminava con: “ Le vostre parole, o Duce, che ho fatto scrivere all’entrata di questa mostra: “Italiani, fate che le glorie del passato siano superate dalle glorie dell’avvenire”. Per la cronaca, durante l’apertura al pubblico arrivarono la famiglia reale, Hitler e un milione di visitatori.
Oggi siamo finalmente in grado di vedere un Augusto diverso, umano. Come spiega l’ideatore del progetto attuale Eugenio La Rocca, che è anche curatore con altri studiosi, tra i quali Claudio Parisi Presicce e Daniel Roger, si è voluto privilegiare l’aspetto artistico e culturale del primo principe: “Attraverso statue in marmo e di bronzo, rilievi, arti minori, sarà raccontata l’ideologia augustea. Per questo evento, da diversi musei stranieri e collezioni private arrivano rappresentazioni a figura intera e si riuniscono per la prima volta preziosi pannelli figurati. Ci sarà anche l’unica lastra mancante dell’Ara Pacis, conservata al Louvre”.
Sono centinaia le opere che illustreranno il cosiddetto classicismo augusteo: un’arte raffinata che fondeva in modo originale il naturalismo italico e la tradizione ellenica, con l’apporto di scultori, incisori di cammei e pittori di provenienza greca. Era già iniziata la rivoluzione declinata in ogni aspetto della vita romana dall’erede e pronipote di Giulio Cesare, quando il Senato nel 27 avanti Cristo gli conferì il titolo di “Augusto” perché aveva “restituito” lo Stato al popolo e alla Curia.
In realtà con lui la Repubblica cessò di esistere, salvo che nelle cariche formali; ma il fondatore della dinastia giulio-claudia, che si presentava come novello Romolo, fu abilissimo nel mostrarsi deferente verso l’establishment conservatore e propugnatore di riforme nel solco della religione e della tradizione del avi.
Fonte: L'Espresso del 10 ottobre 2013

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