Elio Clero Bertoldi
 

PERUGIA - Sessantanni di storia di Perugia filtrata attraverso le carte della polizia: davvero interessante la ricerca di Andrea Maori pubblicata in un saggio dal titolo "Notabili, spie e politica a Perugia - Pagine sparse da rapporti di polizia e carteggi (1923-1984)" dato alle stampe per i tipi della "Tozzuolo Francesco editore".

Il lavoro, particolarmente stimolante, si sviluppa lungo sei capitoli, tutti molto intriganti, che vanno da "Una scatola di nostri prodotti da offrire al Duce", all' "Università italiana per Stranieri "faro di civiltà" e "fucina di italianità nel mondo", dalle "Spie straniere dell'Ovra a Perugia" all' "indimentabile 1956 e il Pci", dalla "vigilanza del movimento nonviolento a Perugia" fino al "Il Sessantotto dei prefetti: ordine pubblico e politica a Perugia".
L'infiltrazione di agenti, fiduciari e spie nell'epoca del regime fascista fu curato in particolare dal dirigente, molto influente Pasquale Adriani, ispettore generale della Ps e capo, in particolare - per quel che riguarda Perugia - della zona IV dell'Ovra con competenza su tre regioni: Umbria, Abruzzo e Molise.

Dagli archivi sono emersi i nomi di cinque spie, tutte straniere, pagate da un minimo di 290 lire fino ad un massimo di 700 lire al mese.
Uno di loro, ebreo ungherese, conosceva molte lingue (ungherese, tedesco, rumeno, francese e ebraico antico e moderno), svolgeva anche il compito di traduttore e collaborava pure, quale caricaturista, con un giornale umbro. Particolare toccante: sua madre, suo padre e due suoi fratelli furono deportati e morirono ad Auschwitz.
La seconda spia era una francesina di origine italiana che alloggiava al Brufani, conduceva bella vita e fece arrestare, tra l'altro, due professori antifascisti perugini, quali organizzatori del gruppo "Italia libera". Proprio nello stesso giorno - 23 maggio 1943 - venne arrestato anche Aldo Capitini, ma pare che non ci fosse relazione tra le due operazioni di polizia.
Una tedesca, di religione protestante, figlia di una madre ebrea e di un padre ariano, era la terza "infiltrata". Iniziò appena ventenne (siamo nel 1937) a collaborare con l'Ovra per 600 lire al mese, "lavorando" in particolare su Perugia e Foligno. Come nomignolo si scelse "Gisele". La sua copertura quella di studentessa (prima alla Stranieri e poi a Medicina e Chirurgia).

Il meno pagato di tutti - 290 lire al mese - fu un albanese, poco meno che quarantenne, che si era iscritto, anche lui, alla facoltà di medicina e chirurgia. L'ultimo delatore un croato, il cui "salario" era stato fissato in 400 lire al mese.
Innumerevoli, comunque, sono i passaggi avvincenti di questo saggio che, attraverso un filtro del tutto particolare, attraversa sei decenni di vita perugina.

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