Elio Clero Bertoldi

 

PERUGIA - Era nato nel capoluogo umbro, lontano dal mare. Eppure è stato non solo un ammiraglio della flotta dei cavalieri di Santo Stefano, ma anche un eroico combattente contro i turchi, i saraceni e i barbareschi, morto a soli 44 anni, per una archibugiata, sulla tolda della sua nave ammiraglia (la Capitana).

 

La riscoperta di questo eroe dimenticato - il cui nome era Cosimo Angelini - e' merito di un convegno, organizzato dai cavalieri di Santo Stefano nel complesso di Santa Giuliana. Uno dei relatori, il professor Marco Gemignani, docente di Storia Navale, ha trattato esclusivamente di questa figura, che potrebbe dare spunto, considerate tutte le peripezie affrontate e vissute, ad un avvincente film di cappa e spada.

 

Cosimo era nato nel 1560 a Perugia da Bernardino Angelini, detto "Corvatto", capitano di ventura e dalla nobildonna toscana Caterina Califati. A venti anni questo animoso giovane presentò la domanda per entrare nell'ordine dei cavalieri di Santo Stefano, che fondato dal granduca Cosimo De Medici, aveva la sua sede a Pisa, e, essendo in possesso di tutti i requisiti (tra cui i quattro quarti di nobiltà), fu accolto con formale vestizione nella chiesa dei cavalieri, a Pisa, presente il comandante delle truppe di sbarco dell'ordine.

 

Per tre anni (fino al 1583) frequentò il difficile e duro corso di preparazione, che si teneva nel palazzo della Carovana (studiando storia, italiano, geografia, matematica, navigazione, cosmografia oltre alla religione e sottoponendosi a esercitazioni pratiche di scherma, di archibugio e di arco), ma anche imbarcandosi sulle galee dell'ordine in lotta perenne contro saraceni e barbareschi che infestavano il mar Tirreno.

 

Nel primo incarico da cavaliere salì sulla nave ammiraglia, la "Capitana", di cui era comandante suo zio materno, Marcantonio Califati, altro grande ammiraglio e combattente dei suoi tempi. Per inseguire due galeotte barbaresche che, in una delle loro frequenti incursioni, avevano distrutto una torre di avvistamento sull'isola di Gorgona, cinque galee dell'ordine si misero in mare.

 

La notte tra il 12 e il 13 ottobre 1583, due navi (la Capitana e la San Giovanni), finirono sugli scogli delle Formiche a sud di Montecristo. Calafati riuscì a salvare non solo i cavalieri ed i soldati, ma anche quasi tutti gli schiavi ai remi (in tutto 750 persone), anche se le due galee, per le gravi falle, affondarono. Per cercare aiuti Calafati affidò a Cosimo, per la delicata missione di salvataggio, l'unica scialuppa che si era salvata, con 12 marinai. Il legno, nel viaggio, si imbatté, purtroppo, in un brigantino barbaresco. Cosimo e i suoi uomini, a forza di remi, cercarono scampo nei boschi di Montecristo: il giovane ufficiale perugino perdette solo un uomo, che si era attardato sulla spiaggia.

 

Nel frattempo Calafati, bloccato sugli scogli alle Formiche, respinse un assalto barbaresco a colpi di archibugio. Purtroppo, dopo qualche giorno, di brigantini ne sopraggiunsero tre e i sopravvissuti al naufragio furono tutti presi prigionieri e portati prima ad Algeri e poi a Costantinopoli (da cui Calafati, dopo molti anni, riuscì a fuggire in maniera davvero rocambolesca).

 

Cosimo, intanto, venne salvato - aveva fatto accendere un grande falò sulla cima dell'isola di Montecristo per segnalare la sua presenza - e si distinse in diversi scontri, affrontando anche il pirata di origine albanese Amurat Rais, lungo le coste del nord Africa. In questa circostanza in una battaglia con forze impari venne ucciso l'ammiraglio Pier Luigi Rossi di Parma (successore di Califati che si credeva morto con i suoi uomini) e venne catturato Cosimo.

 

Vano ogni tentativo di liberarlo con i pagamento di un riscatto. L'Angelini, pero', nel 1598, riuscì a corrompere alcune guardie e, con un avventuroso viaggio, in terra nemica e attraversando i Balcani, rientrò a Pisa (1598). Ebbe l'opportunità di riabbracciare anche lo zio, che qualche tempo dopo (1601), fu però ucciso a tradimento da un soldataccio corso, mentre stava duellando, lealmente con spada e stocco, col capitano del suo vile assassino, che lo lo infilzò, alle spalle, con una lancia.

 

L'anno dopo (1602) Angelini venne nominato ammiraglio in una sorta di triumvirato di comando con Jacopo Inghirami di Volterra e Leonardo Pitti di Firenze. Affrontò in maniera brillante altri scontri in mare contro i pirati sia in Egeo, sia in nord Africa, sia in Corsica, ma gli furono fatali le Bocche di Bonifacio, dove fu colpito da un archibugiere barbaresco, mentre dava ordini e incitava i suoi uomini all'arrembaggio (1603). Morì sul colpo: aveva 44 anni, di cui 23 trascorsi, da valoroso, sotto i vessilli dell'ordine di Santo Stefano.

 

Dopo questo interessante convegno, che ha riportato alla luce una figura così significativa, forse il Comune di Perugia potrebbe dedicare almeno una strada a questo nostro eroico concittadino.

Condividi