Via Martiri dei Lager, linea di confine tra due mondi
di Leonardo Caponi
PERUGIA - E’ una linea di confine, il confine tra due mondi. A dirla così sembra una cosa assurda, perché via Martiri dei Lager separa soltanto due quartieri della stessa città, dirimpettai per così dire l’uno all’altro, il Bellocchio e Madonna Alta. Eppure, dietro i marciapiedi ai due lati della strada, si confrontano due realtà ben diverse.
Sul Bellocchio si è molto scritto e si continua a scrivere. E’ una di quelle aree che si dicono a rischio, dai molti problemi e dalle molte contraddizioni: alta densità urbanistica, un eccesso di offerta edilizia, abitativa e commerciale, aree di congestione ed altre di abbandono e degrado, una presenza di immigrati che non ha pari e che ne fa un quartiere (il primo di Perugia) compiutamente multietnico, indici allarmanti di prostituzione, spaccio e criminalità. Il Bellocchio rappresenta il presente, la modernità (o, a beneficio dei suoi cultori, il volto col quale essa, il più delle volte, concretamente si presenta); sebbene avviato con strumenti programmatori precedenti, lega la sua massima espansione alle idee affermatesi negli anni ‘90 ed è il figlio dell’epoca del dominio del “mercato”. Indubbiamente ha anche i suoi pregi, come un’ottima possibilità di collegamenti con mezzi pubblici con il resto della città, e, se non fosse per il non indifferente particolare della frequente incompiutezza, annovera complessi e costruzioni imponenti e ardite, di stile architettonico innovativo.
Rispetto al primo, Madonna Alta ha un aspetto un po’ retrò, e in certe parti sembra come quelle anziane signore, con la pelliccia di visone e la messinpiega rigida scadute di moda, ma sempre dignitosamente eleganti. Si era sviluppato negli anni ’70, per dare una casa alle giovani coppie che lasciavano il centro e ad una piccola e media borghesia impiegatizia e intellettuale che cresceva con la “nascita” della Regione. Era stato concepito con l’ambizione di essere un quartiere “modello”; il suo pregio maggiore è quello di esserlo ancora. Edilizia misurata, con palazzi al massimo di sei, sette piani, più mansarda, posti macchina all’aperto senza dover entrare nelle viscere della terra, generose aree verdi e parchi, ampi viali alberati, silenzio e quiete in tutte le ore del giorno. Qui, in termini di qualità della vita, suona tutta un’altra musica rispetto al Bellocchio. Ci si può rendere conto andandoci a passeggio in questi giorni d’estate: i parchi sono frequentati e affollati (cosa rara in generale), di mattina dagli anziani, nel pomeriggio da bambini e famiglie; esiste un Cva (chi se lo ricorda questo acronimo? Vuol dire centro di vita associativa) che viene utilizzato spesso e all’interno del quale opera un attivo Centro anziani. Insomma, sebbene ridotta, rimane la vecchia pratica, per così dire, della vita sociale. Persino il grande spazio verde di via Diaz, con campi da calcio e basket, frequentato dalla numerosa comunità filippina di Perugia, costituisce l’esempio se non di integrazione, quanto meno di una possibilità di convivenza non conflittuale con gli stranieri. A essere sinceri anche a Madonna Alta non mancano malumori e lamentele; Alcune appaiono sinceramente esagerate, come quella che vi fu contro la farmacia comunale perché rimaneva in certe ore l’unica aperta a distribuire siringhe (e che bisognava fare?, favorire il contagio tra i tossicodipendenti?). Altre sono più pertinenti, come il grande interrogativo circa la dimensione che, dietro il nostro perbenismo pubblico, assume la solitudine giovanile e il consumo della droga, ma appaiono di carattere generale e non localizzabili soltanto in questo o quel quartiere.
Fatto è che Madonna Alta è la prova evidente di come possa esistere la possibilità di una buona qualità della vita urbana e di come sia ingiusta l’accusa che fa tutta un’erba un fascio della storia e della qualità dell’urbanistica perugina. Madonna Alta è figlia di un periodo nel quale le ragioni del mercato erano più vicine a quelle sociali e nel quale, pur in una fase di intensa crescita della città, ci si poteva tuttavia permettere di sottrarre aree, anche molto appetibili e redditizie (un esempio per tutti, il parco della Verbanella), alla logica del consumo di territorio. E se quelle idee tornassero in auge in questa parte cruciale della periferia perugina? In quel caso via Martiri dei Lager non segnerebbe più il confine tra due “mondi” così diversi ma, semplicemente, il continuum tra due bei quartieri della città.

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