Gagarin. L'umanità di un'icona spaziale
di Antonella Scott
Cinquecento pagine su Jurij Gagarin! Un viaggio appassionato e ironico, in realtà, le dimensioni di questa biografia dell'idolo sovietico per eccellenza non devono scoraggiare. È come se l'autore, il critico letterario Lev Danilkin, neppure quarantenne, avesse inventato un genere nuovo. Racconta l'uomo di cui ha voluto conoscere ogni istante chiedendosi se sia stato un angelo o un burattino, prendendolo in giro, tormentandosi su un destino chiuso sette anni dopo nel mistero di un caccia precipitato tra i boschi fuori Mosca.
E dietro quella faccia incorniciata per l'eternità dal casco di astronauta con la scritta CCCP – aggiunta all'ultimo minuto con pennello e vernice rossa, quella mattina del 12 aprile 1961 – dietro quel sorriso da Gioconda Danilkin piano piano fa emergere non solo Gagarin, ma il suo mondo. Iniziato nello sconosciuto paesino di Klushino per allargarsi allo spazio: la vita nelle campagne di Smolensk infestate dall'invasione nazista, il dopoguerra alla periferia di Mosca, nel quartiere Ljubercy dove Gagarin inizia il suo viaggio in un istituto tecnico professionale.
L'autore raccoglie implacabile tutte le testimonianze possibili, mette in discussione le verità delle biografie ufficiali (a cominciare da Klushino, sperduto nel nulla? macché!), va in caccia di testi sconosciuti e poi li raccoglie in un collage polifonico che saltella su e giù nel tempo ma poi compone il quadro completo, oppure ne propone diversi al lettore, perché scelga.
Il racconto scorre davanti agli occhi come un film: uno dei momenti migliori è il ritorno sulla Terra, Gagarin a rischio di finire nel Volga, i contadini di Saratov che si spaventano e poi si mobilitano alla ricerca di un telefono per avvisare Mosca, e vanno a frugare tra gli strumenti della Vostok...
Quel 12 aprile 1961 è il centro di tutto, prima e dopo, quell'ora e mezza in cui il «Colombo dell'Universo» attraversò il confine tra se stesso e il resto dell'umanità. Fu vera gloria?, non fa che chiedersi Danilkin.
Se la propaganda nazionalista sovietica, felice di contrapporre un supereroe alla lunga lista di icone americane, ha fatto di Gagarin «l'incarnazione di tutte le virili virtù sovietiche possibili e immaginabili», per Danilkin la domanda è aperta. Il primo uomo nello spazio fu una goccia speciale – tra quelle che compongono il globo terrestre così come le descrive Tolstoj – che trovò la forza di saltare nell'universo per specchiarsi in Dio più di qualsiasi altra creatura vivente? o fu semplicemente uno strumento nella vastità del programma spaziale sovietico, l'uomo che il caso mise in quella navicella, che alla partenza non trovò di meglio da dire che «Andiamo!», e poi non dovette far nulla se non eseguire gli ordini, e guardarsi intorno per raccontare che effettivamente dallo spazio la Terra appare azzurra?
In quell'ora e mezza Gagarin sbagliò. Per cominciare gli scappò dalle mani la matita con cui avrebbe dovuto prendere appunti. E poi non riuscì a vedere la Luna. Cosa che lo tormenterà per il resto della vita, malgrado i trionfi. Non farà che sognare di tornare lassù, di raggiungerla. Di certo si può dire questo, del suo destino. Che fu crudele con lui, uccidendolo in volo proprio quando Gagarin stava riprendendo il suo cammino verso il cielo. Sulle cause di quell'incidente, di cui non venne mai data una spiegazione finale, il mistero rimane.
Lev Danilkin, Gagarin, Castelvecchi, Roma, pagg. 520, € 19, 50
Fonte: Il sole 24 Ore

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