di Christian Napolitano

 

Dal momento mi è stato detto (bonariamente, s’intende!) che le mie note su facebook sono un po’ troppo serie ed impegnate - e che mal si concilierebbero, pertanto, con un social network il cui uso dovrebbe essere decisamente più “leggero” - e che, tra commenti politici, riflessioni giuridiche ed interventi sulle politiche sociali del Comune, rischio di dare di me un’immagine troppo grave e severa (per quanto, almeno tra gli antichi, la “gravitas” era considerata una qualità indispensabile, specie per i cittadini che rivestivano incarichi pubblici!) ecco un primo piccolo intermezzo per alleggerire il tono dei miei interventi “feisbucchiani”: la ricetta della copadia agnina (o, detto in volgare: spezzatino di agnello!), secondo le indicazioni riportate nel De re coquinaria dell’immortale Apicio.
Tralasciando in questa sede l’annosa questione (al cui confronto impallidisce perfino la questione omerica!) se le ricette del De re coquinaria siano riconducibili a Marco Gavio Apicio (famoso gastronomo del I° secolo d. C.) e se l’autore del ricettario a noi pervenuto, risalente al IV° secolo d. C., tale Celio Apicio (ma alcuni vogliono l’autore ignoto), abbia riportato fedelmente le indicazioni del suo celeberrimo predecessore, veniamo subito alla ricetta.
Il nostro autore, per descrivere questo splendido piatto (copadia haedina sive agnina: spezzatino di capretto o di agnello), si limita a queste velocissime indicazioni: “pipere et liquamine coques cum faseolis faratariis, liquamine, pipere, lasere cum *** imbracto, bucella panis et oleo modico”. Purtroppo il testo è parzialmente rovinato: alcune versioni al posto di "cum *** imbracto" riportano "cumino fricto", ma a mio avviso questo è un evidente rimaneggiamento posteriore, tanto più che non è presente nella maggior parte dei manoscritti.
Gli ingredienti, dunque, sono i seguenti: spezzatino d’agnello, pepe, liquamen (o garum), fagioli, laser (o silfio), pane e olio d’oliva.
Dal momento che la preparazione è piuttosto facile, due parole in più su alcuni ingredienti e sui loro possibili surrogati. Innanzitutto parliamo del liquamen o garum, ingrediente decisamente indispensabile per la stragrande maggioranza dei piatti della cucina dell’antica Roma: era una salsa liquida derivante dalla macerazione dei pesci, messi in salamoia, e delle loro interiora, alla cui preparazione venivano aggiunti (nelle versioni più prelibate e sofisticate del garum) vino e spezie varie [la preparazione del garum meriterà una nota a parte!].
Per la ricostruzione della ricetta che qui riporto, io ho utilizzato la colatura di alici di Cetara. C’è chi suggerisce la salsa di soia (che in realtà non c’entra per nulla!) o alcune salse di pesce di provenienza indocinese, ma secondo me è preferibile la colatura, le cui origini risalgono al medioevo e che, verosimilmente, si pone in continuità storica con il garum, anche se è più “leggera”: meglio un garum “light”, che salse, magari più forti, ma che alterano il sapore e le caratteristiche basilari del liquamen.
Quanto al laser o silfio, si tratta di una pianta che era diffusa lungo la costa meridionale del Mediterraneo (in particolare nella Cirenaica), ma che oggi è, purtroppo, estinta: difficile, in questo caso, trovare un surrogato che possa sostituire degnamente il buon vecchio laser! Ritengo sia decisamente da escludere (a dispetto del nome!) che si possa utilizzare come alternativa il laserpizio: meglio l’assafetida o, se non la si ha a disposizione, un po’ di aglio e cipolla!
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E veniamo alla preparazione: innanzitutto, bisogna precedentemente cucinare i fagioli (senza particolari condimenti: vanno benissimo quelli precotti in scatola!). Una volta cotti, in un tegame a parte disfarli in una salsa o crema che dovrà essere abbastanza morbida (comunque, meglio un po’ più densa piuttosto che liquida!).
In un altro tegame aggiungere un fondo d’olio e cuocere lo spezzatino d’agnello, unendo un po’ di colatura d’alici di Cetara (diciamo che per 400g di agnello possono bastare un paio di cucchiai abbondanti di colatura: un po’ di più o di meno dipende dai gusti!) e pepe quanto basta. Quando lo spezzatino è quasi pronto, aggiungere la salsa di fagioli, un altro po’ di pepe (a gusto) ed eventualmente un pizzico di assafetida: in mancanza di assafetida suggerisco di fare nel tegame un piccolo soffritto di aglio e cipolla prima di mettere l’agnello e la colatura (ma non è obbligatorio: si può fare il tutto anche senza assafetida, aglio e cipolla!). 
Assaggiare e, se necessario, aggiungere un altro po’ di colatura di alici (attenzione: mai mettere il sale!!!). Finire di cuocere il tutto, servire con del pane abbruscato o, come vuole la ricetta originaria, con dei bocconi di pane (biscottato o meno, fate voi!), condendo con olio d’oliva a crudo.

P.S. se cuocere l’agnello con la salsa di pesce vi spaventa, non abbiate timore: il piatto è gustosissimo! Considerate, poi, che quasi tutti i piatti di carne dell’antica Roma erano preparati con il garum: un lontano ricordo di questo tratto fondamentale della cucina dei nostri maiores l’abbiamo ancora nell’attuale ricetta dell’agnello alla cacciatora alla romana, dove nel condimento è immancabile l’aggiunta di qualche filetto di acciuga! Buon appetito.

 

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