Elio Clero Bertoldi

PERUGIA - Non una vendetta privata, ma una sorta di tirannicidio. Non il frutto di una azione di ribaldi assetati di sangue, ma la conseguenza di un ragionamento politico, che puntava a restaurare sullo scranno più alto della Signoria perugina i legittimi eredi di Braccio Baglioni (cioè Grifonetto, figlio di suo figlio Grifone, morto anzitempo).

Ritrovato il processo originale del fatto di sangue più famoso e tremendo consumato in Perugia, se si eccettuano le stragi di Ottaviano (40 aC), le stragi di Totila e le stragi del 20 giugno 1859. Dalle pergamene dell'Archivio di Stato riemergono le carte, le testimonianze, la sentenza e, dunque, la verità processuale delle "Nozze di sangue" (notte tra il 14-15 luglio del 1500), durante i festeggiamenti seguiti al matrimonio tra Astorre Baglioni e Lavinia Orsini Colonna. La scoperta è opera del lavoro certosino del dottor Alberto Maria Sartore, che ne ha parlato diffusamente nel corso di un convegno.
Questi documenti, che hanno cinquecento anni di età, erano finiti, dopo il 1860 (data del passaggio di Perugia dallo Stato Pontificio al regno d'Italia) in una profonda e umida cisterna. E successivamente erano stati recuperati, con pale e badili dai muratori e accatastati nell'Archivio di Stato, senza essere stati letti e studiati.

"Si tratta di circa 2.500 buste - rivela Sartore - di un fondo miscellaneo in cui sono custoditi documenti che vanno dal XIV° sino al XVIII° secolo. La metà circa riguardano processi civili. La parte restante contiene atti notarili, atti comunali, documenti di archivi privati".
Sfogliando queste pergamene ingiallite il dottor Sartore si è imbattuto in una vertenza civilistica, discussa davanti al Governatore pontificio, nel 1535. Parti contrapposte i Coppoli e i Tei, due nobili famiglie con un ruolo primario, pure su fronti fieramente opposti, nei fatti del 1500. E infatti si discuteva dell'incendio delle case dei Tei ad opera dei rivoltosi, per un danno di 2.000 fiorini. Cifra che i Coppoli erano stati chiamati a pagare, ma che reclamavano indietro in quanto, a loro dire, a quella azione incendiaria non aveva partecipato Roberto Trincia dei Coppoli, che secondo le testimonianze addotte, mentre le case dei nemici venivano date alle fiamme, si era portato con Grifonetto da tutt'altra parte della città per cercare (e uccidere) Gentile Baglioni.

Già sarebbe stata una scoperta eccezionale se ci si fosse fermati a questo spaccato di vita perugina di quell'epoca turbolenta. Ma Sartore, compulsando quelle pagine redatte con una bella calligrafia (ovviamente leggibile solo da chi conosce approfonditamente la Paleografia e la diplomatica), ha trovato che, al processo civile in discussione, erano stati allegati gli atti del processo penale, intentato, nel 1501, a uno dei Coppoli, Roberto Trincia, quale partecipante diretto alla sanguinosa congiura di quella orribile notte d'estate.
Fino ad oggi quei fatti - che hanno catturato l'interesse di Goethe, di D'Annunzio e di tanti altri letterati e intellettuali - si conoscevano solo per le cronache di Francesco Maturanzio (1443-1518), umanista e letterato, molto sbilanciato, nei giudizi, sulla fazione baglionesca al potere (Giampaolo e i sopravvissuti).

I documenti recuperati dal Sartore mettono in luce la "verità processuale" emersa dal dibattimento, le testimonianze "fresche" dei congiurati e comunque dei testi che avevano avuto un ruolo marginale quella agghiacciante notte. E dagli atti emerge che le Nozze di sangue, che restano un massacro feroce, avevano una finalità "nobile": restituire ai discendendi diretti del grande Braccio Baglioni la Signoria di Perugia, che per tutta una serie di motivi contingenti, era pian piano scivolata nelle mani dei suoi fratelli, Guido e Rodolfo e dei loro figli. Nicolò Machiavelli, che era un assiduo frequentatore di Perugia (vi scrisse anche gli "Schiribizzi perugini"), sosteneva, ne "Il Principe", che "il nemico si adula o si spegne". I congiurati progettarono - su suggerimento del conte da Varano - di sterminare un intero ramo familiare dei Baglioni. Non completarono l'opera (si salvarono Giampaolo, Gentile e Troilo). E molti "tirannicidi" ci rimisero la vita, compreso Grifonetto. Roberto Trincia Coppoli - per restare al processo del 1.501 - fu condannato a morte e la testa gli fu mozzata.
 

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