A Umbertide l'ultimo libro di Stramaccioni: "L'Italia e i crimini di guerra"
Lunedì 17 giugno 2013 - ore 18, a Umbertide presso i locali del Club Cremona, in via dei Patrioti (difronte alla Rocca) la presentazione del libro di Alberto Stramaccioni L’Italia e i crimini di guerra (1940-1945). L’occultamento delle stragi nazifasciste e delle rappresaglie in Jugoslavia negli anni della guerra fredda
Intervengono: Marco Locchi Sindaco di Umbertide, Giampiero Giulietti deputato, Federico Rondoni Giovani Democratici, Paola Avorio insegnante.
Sarà presente l’autore
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Il volume si inserisce nell’ampia storiografia sui crimini di guerra compiuti nel corso del secondo conflitto mondiale. Il libro evidenzia come il rapporto tra l’Italia e i crimini di guerra sia una questione complessa trattandosi di un paese prima alleato dei vinti e poi dei vincitori: l’esercito italiano, tra il 1940 e il 1943, è infatti considerato responsabile, insieme ai tedeschi, dei numerosi eccidi di civili in Russia, Grecia e soprattutto nei Balcani; ma poi, tra il 1943 e il 1945, quando è cobelligerante con gli angloamericani, lo stesso paese subisce stragi efferate di civili ad opera dei nazifascisti, ma anche degli italiani fascisti impegnati in una sanguinosa guerra civile. Un paese quindi che è considerato autore e vittima dei crimini di guerra al punto da impedirgli di riconoscere le responsabilità dei soldati italiani nei Balcani così come di perseguire i nazifascisti colpevoli delle stragi in Italia. Il volume ricostruisce la storia del lungo occultamento attuato dal 1945 a oggi dalla Magistratura Militare e dal potere politico soprattutto negli anni della Guerra Fredda al fine di realizzare una certa idea della pacificazione nazionale ed europea in funzione antisovietica.
Nella seconda parte del volume vengono ricostruite alcune particolari tipologie dei crimini di guerra e diverse vicende espressione di quella guerra totale svoltasi nel corso del secondo conflitto mondiale anche in Umbria. In particolare, si sottolinea come la resistenza armata per la liberazione del territorio umbro dall’occupazione nazista e dalla presenza fascista non fu un evento di particolare valore militare, ma certamente un’esperienza di rilevante significato politico e sociale. D’altronde, Perugia e l’Umbria durante il ventennio fascista si erano distinte per una particolare adesione al regime. Ma con la liberazione delle città umbre, avvenuta con l’intervento decisivo degli angloamericani e con il sostegno diretto e indiretto dei partigiani e dei civili, comincia ad affermarsi una nuova classe dirigente espressione prevalente dei rinati Partiti politici antifascisti.
Questa nuova classe dirigente fu in parte protagonista di un movimento, quello resistenziale, che non durò certamente molto – tra i sette e i dieci mesi – e non mobilitò grandi masse, ma ebbe ugualmente un valore politico di rottura con il regime fascista e di svolta per l’affermarsi della vita democratica nella regione. D’altronde, tra il settembre 1943 e il luglio 1944 si sviluppò un movimento di liberazione via via crescente che si tradusse anche in lotta armata a cui parteciparono oltre 4.000 combattenti organizzati in circa venti formazione partigiane, mentre oltre 400 furono i caduti in combattimento, quasi 250 i civili uccisi nelle rappresaglie e circa 2.000 coloro che morirono nei bombardamenti angloamericani.
Alcune migliaia di uomini e donne nelle campagne, sui monti e nelle città non solo solidarizzarono con i partigiani ma li rifornirono di armi, viveri e assistenza logistica. Il tutto avveniva in un momento di particolare difficoltà economica e sociale aggravata dai 100.000 sfollati in Umbria alla fine del 1943 dopo i bombardamenti iniziati dal gennaio dello stesso anno. Ma il contributo politico e militare più significativo alla lotta partigiana in Umbria venne da alcuni comandanti militari che avevano combattuto nell’esercito italiano prima dell’8 settembre (in Jugoslavia e nei Balcani contro i partigiani di Tito) e dagli stessi partigiani iugoslavi imprigionati o trasferitisi in Italia e in Umbria. Tra i comandanti più noti provenienti dall’Esercito regio ci sono Antero Cantarelli, che guida la Brigata “Garibaldi”, Antonio Bonomi, comandante della Brigata “Gramsci”, Ernesto Melis e Mario Grecchi. Una particolare collaborazione tra esponenti dell’Esercito e i partigiani si avrà nella formazione della Banda “Melis”, della Brigata “Leoni” e della “San Faustino” (poi “Proletaria d’Urto”).
Nella lotta armata per la liberazione dell’Umbria non erano però impegnati solo militari o sperimentati militanti antifascisti con alle spalle il carcere o il confino, ma anche alcune particolari figure sociali quali quella di un proprietario terriero liberale, come Bonuccio Bonucci, di un ufficiale dell’Esercito, esponente del Partito Popolare come Venanzio Gabriotti, di un moderato liberaldemocratico come Stelio Pierangeli, di un insegnante cresciuto alla scuola di Aldo Capitini come Bruno Enei, di un operaio comunista come Alfredo Filipponi, di due possidenti terrieri come Augusto Del Buontromboni e Luigi Del Sero, fino a un prete combattente come don Marino Ceccarelli.
Quello partigiano in Umbria è un movimento fortemente frammentato che in parte si organizza spontaneamente e in parte è diretto da alcuni Partiti (PCI, PSI, PdA, DC). La lotta partigiana si organizza prevalentemente sui monti del Folignate, della Valnerina, dell’Eugubino e della zona compresa tra Orvieto e il Trasimeno, quindi lungo la via Flaminia, la Umbro-Casentinese e il Perugino. Accanto alle vicende della resistenza in Umbria il volume ricostruisce alcuni particolari episodi di “guerra civile” come quello di Camorena di Orvieto e altre tragiche esperienze di “guerra ai civili” come l’efferato eccidio dei “quaranta martiri di Gubbio” e numerose altre rappresaglie spesso dimenticate.
(Alberto Stramaccioni)

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