di Leonardo Caponi

 

  Provate a mettervi nei panni di un malato che sia costretto a prendere una medicina per disperazione; un farmaco che, anche se non gli piace e sa che forse non gli farà bene, è l’unico che c’è. Se tra gli amministratori che hanno concesso la licenza al nuovo Quasar di Ellera di Corciano ce  ne fosse stato uno critico verso il modello di sviluppo liberista e le cattedrali che lo rappresentano, dovrebbe aver sofferto le pene dell’inferno e aver avuto varie crisi di coscienza nel piegarsi ad una scelta non condivisa, ma, apparentemente senza alternative, in un momento di crisi e di grande richiesta di lavoro. E, dunque, ha fatto la sua parte perché, sarà quel che sarà, ma quello lì è investimenti, soldi, posti di lavoro, economia che gira…

   Però, le domande restano, e più di una. Non esisteva, approvata non molto tempo fa, una norma regionale che avrebbe dovuto impedire l’autorizzazione per nuove grandi superfici di vendita? Ma, l’interrogativo più consistente ha il sapore del paradosso: come è possibile che in questa Umbria disastrata dalla crisi, dalla svalutazione dei redditi, dalla mancanza di lavoro, a ipermercati e centri commerciali già debordanti per numero e dimensioni, se ne aggiunga un altro, il più grande di tutti? E’ vero che, si dice, una parte degli esercizi del nuovo Quasar non sono “nuovi” e risultano trasferiti da altre parti e che, probabilmente, potremo assistere nei prossimi mesi a qualche episodio di cannibalismo commerciale come già è accaduto altrove. Però questo non spiega tutto. C’è in questi mesi, in quel che rimane della sinistra, un dibattito, a volte curioso, se la crisi sia solo staticità o anche e soprattutto trasformazione, trasferimento di “potere” e ricchezza tra i gruppi sociali. Anche questa “sfarzosa” apertura del nuovo Quasar sembra confermare la tesi che quella odierna non è una crisi da penuria, ma da ingiusta distribuzione della ricchezza. C’è, in questo ambito, una parte cospicua di risorse monetarie che sfugge al controllo. Sono i proventi della economia sommersa e di quella illegale o, addirittura, criminale che, dopo vari passaggi (per carità non criminalizziamo nessuno!), giungono in parte agli investitori. E vero che l’Umbria è in una condizione particolarmente critica? E che c’è  bisogno, in proposito, di una riflessione più incisiva?

    Come fenomeno generale, in questi anni, si è assistito ad una riduzione del costo di produzione delle merci grazie alla svalutazione del lavoro nei Paesi ricchi ed alla persistenza di un basso costo in  quelli poveri. Questo tipo di economia ha generato il paradosso di mercati invasi da merci più abbondanti e a costi di produzione inferiori, che non trovano acquirenti per effetto dell’abbassamento dei loro redditi. E’ un sistema  in crisi da otto anni e non se ne vede la fine. E’ giusto insistere?

   Il nuovo aspirante paradiso dei consumi offre molti posti di lavoro. Già, ma quanti ne fa perdere nel piccolo commercio e in aree territoriali non solo limitrofe? Il bilancio è davvero così roseo come si dice? “Meno stato, più mercato”? Bene; ma quanti soldi pubblici sono stati spesi per adeguare una viabilità comunque destinata a rimanere critica?

    Negli ultimi tempi al centro storico di Perugia sono state dedicate molte belle parole, buoni propositi e bei programmi. Tutto gettato al vento? Beh!, se continuano a proliferare le attrattive “esterne”, il declino non si ferma e questo nuovo fervore acquista il sapore della beffa. Il problema non è, beninteso, della rete commerciale dell’acropoli, che pure merita qualche attenzione, ma di un modello di città squilibrata che contribuisce a creare gli acuti e “costosi” problemi del vivere urbano di cui tutti si lamentano. Ma, adesso, bando ai pensieri guastafeste. Il nuovo grandissimo mercato ha aperto in pompa magna, tra la soddisfazione generale. Le luci risplendono e l’economia gira. O no?

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