di Leonardo Caponi

 

PERUGIA - Cuba, febbraio 2013. Piove di brutto a l’Avana ed è una cosa seria, perché il primo “frente  frio” (fronte freddo) di un inverno fino ad ora ancora più asciutto e mite del solito, si presenta più violento del previsto e pare destinato a durare oltre i canonici tre giorni. Ma non è certo questo il mutamento di clima che ci aspettiamo di trovare nell’isola dei Caraibi per il quarto viaggio negli ultimi anni, anni che hanno coinciso con la sanzione del ritiro ufficiale dalla scena di Fidel Castro e l’avvio delle riforme promosse dal fratello Raùl. A che punto è il cambiamento?

    Recuperato, dopo qualche giorno, il sole e l’azzurro del cielo, la capitale cubana si presenta col suo volto di sempre, allegro e chiassoso. Sotto una luce sfavillante che non si può vedere dalle nostre parti, continuano a sfilare auto d’epoca un po’ più vecchie e inquinanti insieme a moto, le più strane  e originali, mentre le case e i palazzi, di cui si intuisce l’originaria bellezza, paiono congelati nel loro degrado nell’attesa permanente di interventi di restauro. La prima cosa da fare, per capire Cuba, è separare lo stato del patrimonio edilizio dalla condizione sociale. Se ci si ferma al primo, sarebbe, non c’è dubbio, da mettersi le mani nei capelli. Il problema non è solo l’embargo americano che accentua le difficoltà dell’isola, priva di un industria del cemento, a reperirlo sul mercato internazionale e lo “strozzinaggio” delle grandi banche mondiali che le impediscono di trovare le risorse per gli ingenti investimenti che sarebbero necessari. C’è stato anche un “disinteresse” degli occupanti di abitazioni i quali, fino a poco tempo fa, potevano contare sull’uso, ma non sulla proprietà degli appartamenti. Una delle riforme più significative di Raùl è quella di aver ammesso la possibilità della compravendita di case, nell’intento di avviare un mercato controllato delle abitazioni. A questa e alle altre misure relative alla possibilità di intraprendere attività economiche artigianali o di piccolo commercio (oltre a quella tradizionale della “casa particular”, cioè degli affitti degli appartamenti per uso turistico), ha fatto seguito, proprio nelle settimane scorse, una innovazione nel campo del credito bancario. I “mutui” potranno essere concessi anche offrendo come garanzia una proprietà e non più soltanto lo stipendio, come accadeva fino ad ora.

   Che effetto ha avuto, questo allentamento dei vincoli? Si respira nell’isola un’aria effettivamente nuova? A giudicare dall’immagine “fisica”, c’è di che rimanere delusi. Il dinamismo a cui le riforme erano evidentemente finalizzate, stenta a farsi largo. Cuba è ancora la fotografia di se stessa. E’ un bene, perché il fascino di questa terra è dato anche da questo suo modo di essere, senza competizione e senza stress, con una povertà dignitosa lenita da una sicurezza sociale che non ha pari in altri paesi del terzo mondo e che, evidentemente, consente ancora alla sua popolazione di mostrarsi aperta e gioiosa come sempre; è un male perché in questo mondo di oggi, un mondo non buono, dominato da grandi interessi e affannosa ricerca della ricchezza, chi si ferma troppo a lungo è perduto.

   L’immagine di un cambiamento ostacolato, sabotato o compresso dai vertici di un regime dispotico non è sufficientemente fondata. La lentezza delle novità riguarda nel profondo la società cubana, una parte della quale si è adagiata su quella sicurezza di cui si diceva prima e ha scambiato e continua a scambiare poco lavoro con poco salario. Rimuovere questa situazione non è propriamente facile, anche perché essa pone per un sistema che, a torto o a ragione, ha fatto dell’egualitarismo e della giustizia sociale la propria pietra di paragone, grandi interrogativi di principio e pratici, in relazione alle contraddizioni, di condizione e reddito, che è destinata ad aprire. In ogni caso, uno scatto appare necessario come l’aria per respirare. Serve per rimuovere quel velo di inefficienze del sistema che (al di là del peso enorme del blocco americano), anche in epoche economicamente più floride, ha portato a sprechi evidenti e (basta guardare in giro per l’isola i numerosi reperti di archeologia industriale) alla parziale dilapidazione delle ingenti risorse che, nell’isola dei Carabi, trasferiva la ex Unione Sovietica.

   Quello dei diritti civili è il campo nel quale i cambiamenti avanzano forse più incisivi e veloci, sicuramente per  spinta di Mariela Castro, la figlia di Raùl, sposata con un italiano. Per la prima volta è stato eletto in un incarico di amministratore pubblico un transgender, Josè Augustin Hernandez. E’ un contadino del sud est dell’isola. Il suo nuovo nome, dopo la scelta di essere donna e non più uomo, è Adela. Da qualche anno, in un tratto della bella e lunghissima Playa dell’Este, la spiaggia bianca più vicina a L’Avana, i gay usano incontrarsi e ritrovarsi liberamente, senza dover fuggire, come si dice che accadesse prima, a nessuna persecuzione.

   Se gli Stati Uniti si emancipassero dalla pressione della lobby dei cubani esiliati e seguissero l’esempio e la richiesta della Chiesa cattolica, rimuovendo il blocco e smettendo di pretendere “la resa di Cuba”, i cambiamenti nell’isola sarebbero facilitati e incoraggiati. Nella potenza più grande del mondo prevale invece, evidentemente, la sensazione di essere ad un passo della vittoria e di poter presto confinare la rivoluzione cubana tra i brutti ricordi. E’ un calcolo probabilmente sbagliato. Cuba, se è sopravvissuta all’uscita di scena di Fidel, pare in grado di sopravvivere anche alla sua scomparsa fisica.

   L’isola è frequentata, ogni anno, da migliaia di italiani. Al tradizionale turismo si è ultimamente aggiunto il canale dei cosiddetti “viaggi della speranza”, in cerca del miracolo del farmaco anticancro, che non è più soltanto il famoso veleno dello scorpione. Le famiglie italo cubane, residenti nell’isola ma soprattutto in Italia, hanno raggiunto un numero piuttosto consistente. E’ stato così che nel corso degli anni, dietro la cappa ufficiale di una incomunicabilità formale, si è aperta, tra i popoli, una vasta rete di relazioni ed in Italia esiste, sotto traccia, una corrente di rispetto e di simpatia verso il Paese caraibico. Sarebbe forse il caso di coltivare anche ufficialmente queste relazioni e metterle maggiormente a frutto, non soltanto perché la comprensione tra i popoli, al di là dei regimi politici, è sempre giusta e utile, ma anche per creare alle nostre imprese, alle prese con un mercato saturo e arcigno, qualche spazio in più in Paesi che si stanno aprendo.

 

 

 

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