di Franco Arminio

Il gioco della modernità è un gioco in cui le persone pensano di poter diventare più ricche. Bisogna fare un altro gioco, un gioco in cui la povertà diventa un bene comune, il piacere di essere poveri, il piacere di non avere niente, il piacere di dare tutto quello che si ha. La società tecnologica a questo punto si potrebbe salvare solo se vira verso la povertà. Un minimo di cibo e servizi per tutti gli abitanti del pianeta. Per il resto niente. Non si fanno nuove strade, non si fanno nuovi treni e nuovi aerei. Non si fanno altre case. Si puliscono i fiumi, si curano i boschi, si dà spazio agli animali, si pulisce il mare, ci si prende cura di chi si ammala. Il mondo povero unisce l'umanità, la rende sensibile, gentile: stare al mondo con grande delicatezza e poi lasciarlo agli altri. Un mondo in cui non ci sono mete prestabilite, come il liberismo o il socialismo, un mondo che respira, si muove, dorme, piange, ride. In un mondo del genere la politica è il luogo in cui le persone discutono luogo per luogo, giorno per giorno quello che riguarda tutti. Un lavoro in cui si tiene conto dei nostri egoismi, del nostro bisogno di felicità ma anche del nostro vagheggiare la sventura. Bisogna costruire regole che abbiano un buon sapore, leggi che siano affettuose, bisogna costruire clemenza, affetti. Bisogna farlo perché noi siamo mortali, perché ognuno di noi muore veramente e muore una volta per sempre. Bisogna veramente provarci a fare un mondo in cui la mira non sia quella di inculare il prossimo, ma stare in mezzo alle giornate inseguendo sogni, vagheggiamenti, misteri della lingua, giochi, eccitazioni dei sensi, inseguire amori immensi, immense amicizie, sfondare i giochi piccoli di chi stringe la vita nel ripostiglio del denaro.

Ecco cos'è il capitalismo: avere una grande villa e vivere in un ripostiglio. Le merci hanno l'orrenda caratteristica che accrescendosi si annullano: più soldi si hanno e più si è terribilmente infelici. Questo è il momento per far circolare tra gli esseri umani l'idea che dobbiamo fermarci, prenderci una pausa, sospendere tutti i nostri affari. Come per miracolo le cose andranno al loro posto, ci sarà da mangiare per ognuno, di colpo sentiremo che non ci manca nulla, che in un mondo arreso si arrendono le nostre brame, i nostri capricci, e abbiamo solo voglia di abbracci, voglia di camminare, di vedere il mondo. Siamo contenti perché quello che non vediamo noi possono vederlo gli altri, chi non ama noi amerà qualcun altro e la nostra morte farà spazio a chi non è ancora nato.

Un mondo del genere in realtà è assolutamente possibile e assai più prossimo di quel che si crede. È che nessuno si decide a fare il primo passo. Se non lo fanno le nazioni, se non lo fanno i partiti, facciamolo noi, facciamolo insieme a chi conosciamo. Nessuno ci impedisce di allargare la nostra vita, di muoverla in verticale, di prendere dentro i nostri occhi Dio e la natura, gli angeli e le formiche. Forza, non abbiamo niente da perdere, chi non sogna è perduto.

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