"Un calcio diverso è possibile", parola di Jazzista
GUBBIO - Metti tre personalità artistiche provenienti da culture musicali diverse, ricche e versatili. Metti la voglia di rileggere, senza tradirli, i propri repertori originali e di confluire nella canzone popolare nostrana e nelle atmosfere suadenti di quella argentina. E infine, mettici la voglia di raccontare il calcio, quello dei campi di periferia, delle partite della domenica mattina, del pallone che diventa metafora di vita. Si chiama Fùtbol lo spettacolo che il trio italo-argentino formato dalla voce di Peppe Servillo, dal sax di Javier Girotto e dal pianoforte Natalio Mangalavite porterà al festival Gubbio No Borders festival mercoledì 22 agosto, un progetto che ha come filo conduttore una delle passioni più contagiose per il genere umano, in qualsiasi latitudine si trovi: il calcio, o Fùtbol, come viene chiamato in America Latina. Peppe Servillo, storico leader degli Avion Travel e voce dello spettacolo, racconta la collaborazione con Girotto e Mangalavite, la nascita del lavoro e la possibilità di parlare di un calcio diverso, ben lontano da quello delle scommesse e dei tribunali.
Fùtbol porta sul palco il calcio come metafora della vita. Dopo gli scandali del calcio scommesse, pensate che questa metafora possa essere ancora valida?
“Doppiamente valida! Fùtbol nasce come omaggio a Osvaldo Soriano, ad un libro che racconta spirito di squadra, vittorie e sconfitte di un calcio diverso, davvero lontano da quello delle scommesse, un calcio ricco di umanità, di calore. I racconti di Soriano indagano non certo le vette del calcio ma il substrato, le piccole storie, gli sportivi della domenica o del dopo cena, degli amatori. È questo il mondo a cui il nostro Fùtbol si ispira, è questo il mondo che raccontiamo come metafora”.
E il calcio di cui parlano oggi le cronache giornalistiche?
“Soriano lo intercetta ben poco. E anche il nostro lavoro. Quando raccontiamo le storie delle giovanili o degli esordi sul campo, per esempio, siamo davvero lontani da quelle dinamiche corrotte e lontanissime dal merito di cui si legge sui giornali. Tentiamo di farci interpreti di un calcio diverso, che parla poco dei campioni e delle stelle e molto di anonimi calciatori che inseguono un pallone nei villaggi della Patagonia, di improbabili allenatori giramondo, di storie d’amore, di leggende e scenari fantastici, di gioie e disperazioni calcistiche e della malinconia degli sconfitti, degli esclusi, degli sfortunati, dei goal che uno si perde nella vita”.
Il progetto di Fùtbol fonde musica, teatro e letteratura. Questa possibilità di sperimentare quale spazio ha, oggi, nei teatri, sui palcoscenici, tra il pubblico italiano?
“Non si tratta di un progetto ardito come sembra. Il pubblico di Fùtbol e degli altri spettacoli che come Avion Travel o con Girotto e Mangalavite portiamo in giro, si riconosce fortemente nel nostro modo di fare narrazione con le parole e con i gesti. Si tratta di una dimensione meno lontana e meno sperimentale di quanto non possa apparire a prima vista. Anche i miei colleghi argentini sono vicini, per cultura e sensibilità, a questo modo di raccontare ‘a 360 gradi’, che fonde arti e mondi diversi. Mi piace pensare che quello tra la cultura dei miei colleghi e la mia cultura, italiana e ancor meglio partenopea, sia un biglietto di andata e ritorno, un circolo di idee, di modalità comunicative ed espressive che non smettono di fondersi e contaminarsi. La cultura folk argentina che Girotto e Mangalavite portano sul palco è tanto interessante, sofisticata e contemporanea quanto immediata, diretta, di facile comprensione”.
Quale può essere il valore aggiunto del presentare un progetto come Fùtbol nell’ambito di un piccolo festival piuttosto che su un grande palcoscenico?
“Per me, che arrivo dalla provincia, portare Fùtbol a Gubbio, così come in ogni altro piccolo centro, significa portare il mondo di cui la mia musica parla a chi, quel mondo, lo vive ogni giorno. Significa confrontarsi con un pubblico attento, perché spesso l’offerta non è ampia come quella che si ha nelle città più grandi, un pubblico che sa, che conosce l’orizzonte di cui parli e per questo si aspetta molto da te, si riconosce in quello che canti, aspetta di riviversi in ogni nota, parola, gesto”.

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