di Armando Allegretti

PERUGIA - Diaz. Don’t clean up this blood, un film che è stato contestato, pubblicizzato, amato ed odiato da molti critici fin da quando ne è stata annunciata l’uscita nelle sale cinematografiche italiane. Lo abbiamo visto per voi e vorremmo raccontarvi il nostro punto di vista.

Il Regista (Daniele Vicari) e il produttore (Domenico Procacci) avevano ripetuto più volte che “i fatti narrati sono tratti dagli atti processuali e dalle sentenze della corte d’appello di Genova”, come a dire: “quello che vedrete è la verità accertata, nessuna finzione, questi sono i fatti avvenuti nella scuola Diaz e alla caserma Bolzaneto”.

Un film che profuma di denuncia: sembra che fin dall’inizio dei fatti, ormai 10 anni fa, qualcuno abbia tentato di cancellare quanto avvenuto quella notte a Genova. Un film duro che come una mazzata che non si dimentica ti tiene impegnato per 2 ore. Inevitabile dire che uscendo dalla sala sulla faccia delle persone si leggeva una forte indignazione proprio per la ferocia delle violenze a cui avevano appena assistito.

Ma a parte questo, vedere il film è un dovere, un dovere civile da parte di tutti noi. Di certo non sarà una visione piacevole né tantomeno divertente, ma in compenso sarà una esperienza indimenticabile.
I fatti li conosciamo, vorremmo averli dimenticati, o perlomeno vorrebbero farceli dimenticare.

Questo è quello che successo: il 21 luglio 2001, ultimo giorno del G8 di Genova, poco prima di mezzanotte, centinaia di poliziotti fanno irruzione nel complesso scolastico A. Diaz, struttura adibita dai manifestanti a media-center, picchiando e arrestando senza alcun motivo numerosi ragazzi mentre stavano dormendo. Poi falsificano le prove riguardo presunti reati di resistenza e porto d’armi cercando di depistare le indagini. Amnesty International definì l’accaduto come “la più grave sospensione dei diritti democratici in un Paese occidentale dopo la fine della II guerra mondiale”.
Ma veniamo alle scene. Il filoconduttore di tutto il film è il lancio di una bottiglia di vetro verso la volante della Polizia, la futura molotov della discordia, che ruota in aria nella prima sequenza e funziona da raccordo tra i vari flash-back che ci accompagneranno per tutta la pellicola. La bottiglia che verrà utilizzata poi come pretesto per giustificare lo sgombero della Diaz.

I vari flash-back che caratterizzano tutto il film rappresentano il punto di vista dei protagonisti. Troviamo Claudio Santamaria che indossa la divisa di Max Flamini, unico in divisa ad avere il coraggio di contravvenire agli ordini dei superiori e di interrompere, purtroppo in ritardo, il massacro. Poi c’è Elio Germano a cui tocca il ruolo di Luca, giornalista della Gazzetta di Bologna” che, dopo la morte di Carlo Giuliani, decide di andare a Genova per vedere con i suoi occhi quello che sta succedendo, per poi trovarsi aggredito anche lui nella Diaz. Ancora, Renato Scarpa nella parte di Anselmo, vecchio militante della CGIL che, con i suoi compagni pensionati, ha preso parte ai cortei anti G8. Poi c’è Alma (Jennifer Ulrich), un'anarchica tedesca che ha partecipato agli scontri e che, sconvolta dalle violenze cui ha assistito, decide di occuparsi delle persone disperse insieme a Marco (Davide Iacopini), un organizzatore del Genoa Social Forum.

Così per tutto il film, si intrecciano le storie, le vite e i punti di vista dei protagonisti. Un filma che non fa sconti a nessuno e non nega nemmeno la presenza di componenti violente mettendo in luce l’assurdità di quei giorni.

Unica pecca: il racconto è completamente decontestualizzato, non si spiega infatti perché tutte quelle persone sono a Genova in quei giorni. Cosa capirà un ragazzo che oggi ha 20 anni e che magari non sa nulla di quello che stava succedendo a Genova nel luglio del 2001?

In ogni caso Diaz è un film duro per chi in quei giorni era li e per chi pur essendo altrove ne ha ancora un ricordo vivo nella memoria e non vuole dimenticare.

 

 


 

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