ORVIETO (TR) - Canzone d'autore e jazz di nuovo a braccetto nello spettacolo 'Le memorie di Adriano' che ha aperto ieri sera ad Orvieto Umbria Jazz Winter numero 19. Adriano in questo caso e' il Molleggiato nazionale, ovvero il ragazzo della Via Gluck, al secolo Adriano Celentano, e le canzoni sono i rock 'n' roll e le ballate visionarie, talvolta romantiche, altre volte protoecologiste, che hanno scosso la sonnacchiosa scena del pop nazional-popolare dei primi anni Sessanta. Canzoni, per esempio, come Preghero' (introdotta da Servillo nientemeno che con una citazione di Sant'Agostino), Azzurro, Il ragazzo della Via Gluck (trasformata in eterea ballata), Il problema piu' importante, Storia d'amore, Stai lontana da me, Un albero di trenta piani, Chi ce l'ha con me.

Il progetto ha esordito qualche mese fa ed ora e' di nuovo in tour. Sulla scena del teatro Mancinelli di Orvieto la maschera istrionica di Peppe Servillo e la maestria strumentale di alcuni dei piu' bei nomi del jazz nazionale: Fabrizio Bosso alla tromba, Javier Girotto ai sassofoni, Rita Marcotulli al piano, Furio Di Castri al contrabbasso (autore anche degli arrangiamenti) e Mattia Barbieri alla batteria. E' in pratica la stessa formazione che un paio di anni fa produsse 'Uomini in frac', tributo all'arte di Domenico Modugno. Lo spettacolo e' dunque l'ennesima rilettura da parte degli uomini del jazz della canzone italiana, che in tempi recenti ha prodotto risultati interessanti, e si iscrive tra quelli riusciti.

Le canzoni di Celentano e del suo Clan (anni '60-'70) sono trattate con una certa liberta' ma sostanzialmente con rispetto, e del resto non avrebbe senso tradirle con un approccio troppo radicale. Che i musicisti siano jazzmen di razza e' comunque piu' che evidente. Arrangiamento, orchestrazione e improvvisazione trovano sempre un punto di incontro, non necessariamente a meta' strada. Nella scrittura di Celentano non figurano tracce o echi di jazz, ma il sestetto in molti momenti suona ottimo jazz attorno alla teatrale vocalita' e presenza scenica di Servillo. Bosso e Girotto si confermano in particolare una front line affiatata, oltre che bene inserita nel contesto complessivo del progetto.

In definitiva, ancora un buon tentativo del jazz italiano di esplorare i promettenti territori di caccia della canzone d'autore e percorrere una via autenticamente nazionale a beneficio di un pubblico trasversale che, come quello del Mancinelli ieri sera, dimostra sempre di gradire.

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