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di Giulia Bolognini (da www.dazebao.org) GROSSETO - Con l’ariete e la pelle di cammello dell’eremita, con la croce o senza, Caravaggio ha dipinto il San Giovanni Battista in tutti i modi. Quello capitolino e di Palazzo Corsini sono stati appena esposti alla notte Bianca di Roma. Ma ce n’è uno così particolare da non sembrare nemmeno un Battista. È il San Giovannino della Galleria Borghese - in mostra a Porto Ercole (Grosseto) dal 17 luglio al 18 agosto -, che porta un manto rosso, non ha la croce né un qualsiasi attributo iconografico proprio del santo. E che sembra, più che altro, un pastore alle prese con una pecorella smarrita. Del catalogo della mostra commemorativa «Chiuder la vita» di Porto Ercole, prodotta da Aleart con le restauratrici romane Valeria Merlini e Daniela Storti, un gruppo di studiosi, tra cui lo zoologo Marco Masseti e gli storici dell’arte Mauro Di Vito e Serena Nocentini, affronta la fine del Caravaggio lanciando una nuova ipotesi riguardo al dipinto che l’artista porta con sé nel viaggio di ritorno a Roma, pronto a donarlo come ‘salvacondotto’ al cardinale Scipione Borghese, nipote di papa Paolo V. È proprio l’influente porporato, grande collezionista del Merisi, a preparare - nel 1610 - le pratiche per farlo rientrare a Roma dopo l’assassinio, per mano dell’artista, di Ranuccio Tomassoni. I documenti dimostrano che stava intercedendo presso il papa per ottenergli la grazia. Il pittore, riconoscente, gli dipinge il noto Giovanni Battista che porta con sé sulla feluca da Napoli, dove era rifugiato. A Palo, però, sulla costa laziale succede un imprevisto. Caravaggio viene arrestato. E il pacco, con il quadro destinato al cardinale, ritorna al mittente, dalla marchesa Costanza Colonna a Napoli. L’artista, rilasciato dopo due giorni, si lancia all’inseguimento dell’imbarcazione – un centinaio di chilometri a piedi lungo le paludi malariche della costa - per recuperare il dipinto della salvezza, più una Maddalena e un altro Battista poi scomparsi. Ma muore, stremato dalla febbre, a Porto Ercole il 18 luglio del 1610. Intanto a Napoli è bagarre. Tutti si contendono il quadro: il viceré di Napoli Don Francesco di Castro, i cavalieri di Malta. Il cardinale Borghese dovrà aspettare un anno per incamerarlo nella sua collezione, dove nel 1613 viene inventariato come «San Giovanni Battista». Ma è possibile che solo il Caravaggio conoscesse il vero significato dell’opera. Mauro Di Vito e Serena Nocentini vogliono metterci una pulce nell’orecchio con il loro contributo, «Dialogo sotto l’ombrellone. Buon Pastore o San Giovanni Battista?». Il Battista, seduto su un tronco di legno con le gambe incrociate, sembra piuttosto un biblico Buon pastore. La sua posa ricorda molto da vicino quella raffigurata nel mausoleo di Galla Placidia a Ravenna. Siccome nei dipinti del pittore c’è sempre una allusione autobiografica. «È legittimo vedere le sue opere in rapporto con la sua vita», conferma Mina Gregori nel catalogo, il pastore potrebbe rappresentare il cardinale Borghese che riconduce la pecorella smarrita, ovvero Caravaggio, all’ovile. «Tra l’altro – aggiunge Di Vito - il soggetto con il manto rosso cardinalizio tiene in mano il bastone – cosa che non si riscontra negli altri Battista - come se stesse impugnando una penna, allusione alla richiesta di grazia» (in latino, canna, 'calamus', significa anche penna). Caravaggio avrebbe quindi voluto raffigurarsi come il peccatore - la pecora che bruca la vite - che si pente e torna alla vite eucaristica. E con la vite riacquista la vita grazie al pastore, ovvero il cardinale, che lo avrebbe salvato dalla pena capitale». Condividi