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Forti con i deboli, deboli con i forti Dino Greco (da Liberazione 21 maggio 2009) Chi voglia direttamente documentarsi, vada a leggere nel sito del ministero della Funzione pubblica. E' una lettura istruttiva. Vi troverà il testo integrale del Dl governativo intitolato "Delega al governo finalizzata all'ottimizzazione del lavoro pubblico e alla trasparenza ed efficacia della pubblica amministrazione", dove, accanto all'esproprio, ex lege, di materie che erano prerogative della contrattazione, come i criteri di distribuzione del salario accessorio, è meticolosamente normato il sistema sanzionatorio teso a colpire senza pietà i cosiddetti "fannulloni". Vale a dire coloro che dovessero assentarsi dal lavoro producendo false certificazioni o rendendosi protagonisti di altre macchinazioni fraudolente, con o senza la correità di medici compiacenti. I quali ultimi - e se ne può capire bene il motivo - preferiranno mandare al lavoro persone malate, piuttosto che rischiare di vedere contestato il proprio operato ed incorrere nei rigori della nuova legge. Ma di cosa si tratta? Il lavoratore, la lavoratrice colti in fallo, saranno licenziati, dovranno pagare una multa (da 400 a 1600 euro) e inoltre risarcire l'amministrazione del danno patrimoniale arrecato, di importo pari alla retribuzione che sarebbe stata da loro percepita qualora avessero lavorato. Vale solo la pena di ricordare che queste misure si aggiungono a quelle già varate dal ministro Brunetta con il taglio di parte del salario nei primi giorni di malattia e l'obbligo di presenza continuativa nella propria abitazione (per 11 ore su 12 al dì) fino al rientro al lavoro: una sorta di domiciliazione coatta che rende impossibile - è facile intenderlo - la vita. Ma non finisce qui. La novità è la sanzione penale che, in un crescendo rossiniano, si abbatte come un colpo di maglio sul dipendente "incastrato"; vale a dire l'arresto e la prigione, da uno a cinque anni. Un'enormità. Tanto sta scritto - nero su bianco - nell'articolo 7, comma 2, lettera b) del decreto in questione. Ora, si raffrontino questo rigore draconiano, questa vis punitiva animata da intenti dichiaratamente moralizzatori verso (per ora) i dipendenti pubblici con quanto, nelle stesse ore, sta accadendo al piano più alto dell'edificio politico. Una sentenza del tribunale di Milano dice che il presidene del Consiglio è un corruttore e che egli pagò un teste chiave, l'avvocato David Mills, perché questi testimoniasse il falso in atti giudiziari per nascondere i traffici di Berlusconi finalizzati all'evasione fiscale e all'elusione delle norme antitrust. Di fronte ad un fatto di tale gravità, Berlusconi reagisce rabbiosamente, di nuovo straparla di congiura delle toghe rosse, si smarca dal responso processuale minacciando il giudice che ha osato pronunziare un verdetto a lui "ostile", dice che parlerà alle Camere, ma solo per rovesciare sulla magistratura l'accusa di ordire un complotto politico nei suoi confronti. E per far sapere che "Lui" non consentirà a quei nemici giurati di processarlo. Non uno dei suoi genuflessi cortigiani ha provato ad assumere un atteggiamento anche soltanto di cauta prudenza. Eccoli, tutti quanti, come un sol uomo, votati a difendere l'indifendibile. Il lodo Alfano, ora non più virtualmente, produce i suoi effetti. Lo scudo giudiziario, la legge per mettere l'uomo più ricco e potente d'Italia al di sopra della legge diventa pienamente operativa. E mostra, drammaticamente, quale violenta torsione si stia imprimendo all'architettura istituzionale del Paese, allo stato di diritto, alla divisione dei poteri o, più semplicemente, al mortificato sentimento della giustizia. In un ormai irrefrenabile delirio di onnipotenza, l'uomo cui è consentito di trasformare la più plateale bugia nel suo opposto, si comporta, né più né meno, come quel Luigi XIV che tre secoli fa sentenziava: «l'état c'est moi!». Senza che la più anemica delle opposizioni riesca ad emettere più che qualche flebile balbettio. E mentre il Paese, sempre più assuefatto, si avvia - un giorno dopo l'altro, un passo dopo l'altro - verso l'abisso, verso l'accettazione di quella che, con buona pace delle astratte dispute nominalistiche, si sta configurando come una cripto-dittatura. Si rifletta sul punto da cui siamo partiti. Si ragioni sulla macroscopica asimmetria fra l'onnipotente impunità del caudillio, come anche Umberto Eco ormai lo definisce, e la revoca di diritti fondamentali che colpisce ogni semplice cittadino, pardon , suddito. E si capirà bene per quale crinale stiamo velocemente ruzzolando. Condividi