Breve storia del Concerto Rock
Il 16 e il 18 giugno del lontano 1967 sono date importanti per la musica rock. In quei lontani giorni dell’Estate dell’Amore (Sumer Of Love) in piena epopea hyppies/flower power, mentre la guerra del Vietnam era in piena esplosione, a Monterey, California, avvenne quello che è considerato il primo grande evento/concerto della nostra musica. Ben 90.000 persone si radunarono ad ascoltare, tra gli altri, Jimi Hendrix, Otis Redding, The Who, Jefferson Airplane, Janis Joplin ed altri. Molti di questi nomi ci saranno due anni dopo al più famoso concerto rock, quello di Woodstock, nelle campagne attorno a New York. Eventi fondamentali per la musica, per il costume e, ovviamente, anche per la nascente industria della musica. In Italia in quegli anni i concerti significavano, per lo più, balere e prati con palchi improvvisati, ed anche all’estero le cose non erano poi molto diverse. La vecchia Europa dovette aspettare la vecchia Inghilterra con il grande evento dell’Isola di Wight, il primo Festival Rock, iniziato, in sordina, nel 1968, per poi esplodere, soprattutto nell’estate del 1969 (The Band, Bob Dylan, The Who, The Nice tra gli altri) e soprattutto nell’estate del 1970: 500.000 presenze ad ascoltare Joni Mitchell, Jimi Hendrix, ancora The Who, Miles Davis, Jethro Tull, Moody Blues, i neonati Emerson, Lake And Palmer, Donovan, Kris Kristofferson, The Doors, Chicago, Ten Years After e tanti altri. Un enorme evento che rivoluzionò, in tutto il mondo, il concetto di concerto.
Bene, sono passati oltre 40 anni, di musica ne è passata davvero tanta sotto i proverbiali ponti e le cose sono davvero molto, molto cambiate… Personalmente vanto una “carriera” di spettatore lunga ormai 42 anni, contati perché, specialmente i primi concerti, ti rimangono nel cuore scolpiti nella memoria.
Il ricordo dei mal organizzati shows dei primi anni ’70 è indelebile. Pink Floyd 1971, Frank Zappa 1974, Brian Auger 1971, i primi senza contare la musica rock italiana, in grande fermento, con i primi grandi gruppi della neonata musica alternativa italiana (Premiata Forneria Marconi, Banco Del Mutuo Soccorso, Osanna, Napoli Centrale, Nuova Idea, New Trolls ecc.) che, con l’andar del tempo si fece sempre più politicizzata creando, però, ottime band che, dal punto di vista della tecnica, non sfiguravano davanti ai “Maestri” americani e inglesi. Ricordo Area e Perigeo, per la fantasia e la tecnica, Stormy Six per l’impegno. Poi però l’aspetto politico prese il sopravvento sulla gioia dello stare insieme. Anni di buio anche nella musica, con concerti strumentalizzati, presi d’assalto dai gruppi autonomi, guerriglie urbane che avevano come teatro gli spazi per concerti e per bersagli gli artisti e gli organizzatori. La musica doveva essere gratuita… Led Zeppelin e Santana bersagliati dai fumogeni e dalle bottiglie incendiarie. De Gregori ed altri sottoposti a processi improvvisati. Per sentire e vedere musica dovevi attraversare i confini. Per vedere il miglior Springsteen (1977) dovevi andare a Zurigo. Assurdo per oggi ma i tempi erano davvero da Combat Rock anche se spesso c’erano artisti che speculavano anche sull’appartenenza politica. Il Festival del Parco Lambro, primo grande raduno italiano, nel giugno del 1974 (Re Nudo, Festa del proletariato Giovanile), divenne solo un pretesto per droghe libere e casino gratuito. La musica era in secondo piano.
Il festival si tenne sino al 1976 ma la cosiddetta “controcultura” italiana ne uscìu con le ossa rotte.
Poi, finalmente, dopo quasi 5 anni di autarchia e sconfitta della musica, ecco il ritorno ai concertoni con il “Concerto” per eccellenza: Milano, San Siro, giugno 1980 Bob Marley And The Wailers. 100.000 spettatori che ballavano al ritmo del reggae di Bob. Io c’ero e fu, davvero, una strana, straordinaria, esperienza.
La musica era sovrastata dai cori, dal rumore di un Popolo che aveva voglia di celebrare e di celebrarsi.
Da lì in poi gli eventi si sono susseguiti, il ritorno della Grande Musica in Italia con artisti che, spesso per la prima volta, si esibivano sul territorio nazionale. Pur con una buona dose di provincialismo, il nostro Paese aveva ricominciato a vivere positivamente l’evento concerto. Al fianco dei concerti rock, prolificavano meravigliosi eventi Jazz (Umbria Jazz), Blues (Porretta Blues Festival) ed altro. L’industria si era impossessata dei nostri Eroi ma, chissennefrega, potevamo vedere e sentire da vicino, anche se in ritardo, i grandi del Rock. Prima della parentesi “Combat Rock” nei primi anni ’70, avevamo addirittura contribuito a far divenire celebri anche artisti inglesi non considerati in patria, come Genesis, Gentle Giant e Van der Graaf Generator. I decenni successivi hanno visto esibizioni splendide, grandi eventi e mediocri, un susseguirsi di emozioni colorate, passaggi di mode, ritmi, gestualità e serate magiche da ricordare anche per i luoghi, i nostri luoghi, unici e memorabili anche per i musicisti. Nessun Paese può vantare scenari come Pompei (Pink Floyd pur per un concerto solo filmato e privato ripreso nel 1969), Colosseo, Piazza san Marco, Arena di Verona e tante altre decine di piazze “minori” piene di fascino e storia.
Ma oggi? Bene, l’oggi è ancora ben rappresentato, pur con prezzi esagerati, da artisti internazionali, molto meno bene, e mi duole dirlo, dalla scena musicale italiana. Troppi “Concertoni” demagogici, riempiti sempre dai soliti noti, troppi “Su Le Mani” odiosi urlati da cantanti capaci solo di urlare sempre le stesse note. Troppi “finti eventi” privi di quella atmosfera di vera partecipazione che contraddistingueva i concerti di qualche anno orsono. Eccetto De Gregori, che è capace di “sporcare” le sue note sorprendendo ad ogni show, eccetto pochi altri capaci di interpretare il palco esibendo l’arte dello stupire, dell’intrattenere con gusto e originalità, tutti gli altri sono, come ho detto, “finti eventi”. La cerimonia di un concertone di Vasco Rossi, diventa solo un pretesto autocelebrativo di un pubblico dalla bocca buona. Non me ne vogliano i fan del Vasco nazionale, ma il rock’n roll è tutta un’altra cosa. Bravo Jovanotti a tenere il palco ma lo trovo ormai troppo costruito sul suo personaggio, anche lui un intoccabile, dunque. Non faccio altri nomi ma vorrei concludere con la speranza che il pubblico riprenda ad essere curioso, partecipando anche a concerti minori di artisti con la A maiuscola. Artisti da scoprire, coccolare. La riscoperta del piccolo teatro di provincia, il pubblico che diventa talent scout in prima persona. Certo in questi tempi di crisi dove anche alcuni grandi hanno dimezzato le presenze, mi attendo tempi difficili. Un promoter, un organizzatore deve rischiare del suo e, troppo spesso, rischia grandi buchi finanziari. Ma siamo noi, pubblico, che dobbiamo di nuovo imparare ad imporre, a scegliere. Il Pubblico è divenuto troppo spesso passivo e ciò non solo non fa crescere la musica, ma la distrugge e, credetemi, non vorrei mai ritornare agli anni in cui si dovevano percorrere centinai di chilometri andando all’estero per ascoltare buona musica. La musica non è un concorso di bellezza, è cultura e, come tale, andrebbe insegnata e divulgata anche ai bambini. I media stanno uccidendo la musica ed anche il mercato. La disinformazione è ovunque ma, soprattutto, è la dilagante mancanza di curiosità, la passività del pubblico che distrugge anni e anni di... gioia e rivoluzione (Area docet).
Uscite per le strade e suonate, ballate, cantate, partecipate, spegnete le televisioni, gli I-Pod. Accendiamo il cervello, ascolteremo, allora, la Vera Musica e, l’Estate dell’Amore potrà riaccendersi.
Ugo Buizza

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