Umbria/ Sel: il lavoro prima di tutto
La mappa delle crisi industriali predisposta dalla CGIL dell'Umbria (la si può trovare all'indirizzo
https://www.google.com/maps/d/viewer?mid=zqZbKnywi_SE.kL5soZ7-oaTA) è un documento di drammatica attualità: parla di una regione duramente attraversata dalla crisi che, giunta ormai al suo settimo anno, non risparmia territori né settori. Dal nord al sud della regione, dall'edilizia ai diversi comparti dell'industria, dal commercio ai servizi alla persona, sono almeno 185 le imprese coinvolte e quasi settemila i lavoratori in cassa integrazione, che hanno perso o rischiano di perdere il lavoro.
Una tale situazione non può essere fronteggiata con misure ordinarie, né rassegnandosi ad assecondare le politiche cosiddette di austerità che stanno portando alla disperazione tanti territori d'Europa. Occorrono un ripensamento ed una contestazione aperta delle politiche europee e nazionali, occorre una svolta che punti sulla valorizzazione del lavoro, sui diritti dei lavoratori, su un rilancio ed una qualificazione della spesa pubblica. Il lavoro, un lavoro buono e qualificato, deve tornare ad essere al centro del discorso e dell'agire politico. In questo quadro anche il ruolo delle istituzioni locali deve essere più autorevole e più deciso. Si tratta per un verso di utilizzare al meglio le risorse disponibili, e per l'altro di promuovere una mobilitazione dell'intera società regionale, a partire dalle sue classi dirigenti diffuse, perché ciascuno si misuri con la necessità di contribuire ad un grande piano di rinascita dell'Umbria: non sono tempi ordinari, una politica ordinaria rischia di non servire a nulla.
Il coordinatore regionale Umbria
di Sinistra Ecologia Libertà
Fausto Gentili
Martedì
11/08/15
19:58
Creare "lavoro" buono o cattivo che sia, non è il fine, ma la conseguenza di una azione lungimirante.
Se ordino ad un ristoratore un pranzo di nozze per 500 invitati, questi cercherà chi può aiutarlo a cogliere l'opportunità e assumerà in ragione di ricavi attesi.
Nessun ristoratore assumerà mai 10 inservienti a costi agevolati, per essere competitivo nel caso in cui qualcuno gli offrisse di preparare un pranzo di nozze per 500 invitati.
Non è con gli incentivi alle assunzioni che si risolve il problema, anzi a mio avviso lo si aggrava, perché si creano turbative sulla concorrenza tra chi ne fruisce e chi no. Gli incentivi non ottengono altro risultato che concedere inutili sconti a chi ha già deciso di assumere.
Non c'è che una strada : che l'ente pubblico sostenga l'economia investendo massicciamente risorse pubbliche in opere virtuose che a loro volta attivino indotti economici che poi possano generare autonomamente altro reddito.
E' nella individuazione di questi indotti economici strategici che bisogna concentrare il confronto tra i politici che hanno il potere di innescali. ma bisogna farlo in fretta. Lo stato di indigenza per molti, non va in vacanza.
Concordo con l'analisi di Gentili, ma ora non servono più le analisi che indichino COSA fare, ma qualcuno che dica COME fare in concreto e poi prenda decisioni che si rivelino efficaci.
Mercoledì
12/08/15
10:07
L'ingegner Ceci ha ragione: la spesa pubblica deve essere massiccia e virtuosa, cioè concentrata in settori e progetti in grado di migliorare la qualità della struttura produttiva, tutelare i diritti di chi lavora e indurre innovazione di sistema. Ci vorrebbe cioè una politica industriale, qualcosa che da tempo non c'è più. Aggiungerei che un ruolo di primo piano dovrebbero averlo gli investimenti in formazione e ricerca.
Quanto al "come", credo che una piccola regione come l'Umbria potrebbe mettersi alla prova a partire da quattro o cinque scelte: un uso più selettivo delle ingenti risorse comunitarie (con una riflessione critica ma equilibrata sull'esperienza dei poli di innovazione); una riconsiderazione dell'infrastruttura finanziaria regionale, a partire da Sviluppumbria; una strategia di dialogo con le multinazionali (una quarantina) presenti in Umbria; un piano straordinario di formazione professionale; una vertenza con il governo e con l'Europa per forzare la gabbia del patto di stabilità.
Mercoledì
12/08/15
12:35
Sinceramente dubito che sia possibile reperire le ingenti risorse che sarebbero necessarie ai "massicci" investimenti necessari a riattivare l'economia, attraverso gli indotti generati, della regione.
I vincoli di bilancio non sono una forma di masochismo che qualcuno si impone o di sadismo imposto da altri. Che qualcuno (germania in primis) sia avvantaggiato dalla nostra fragilità non dimostra affatto che sia sbagliato tenere i conti pubblici in ordine ma semplicmente che chi è schiacciato da troppi debiti si trova in una posizione di svantaggio competitivo (come sistema paese). Sarebbe ora che anche a sinistra si smettesse di scambiare cause con effetti (la moneta circolante ha un valore di scambio in rapporto alla ricchezza di un paese e l'aumento della moneta non rende di per se un paese più ricco ma semplicemnte riduce il valore di scambio della moneta stessa. Se in un'economia "chiusa", com'era quella novecentesca dello "Stato-Nazione" l'aumento della moneta circolante non riduceva il potere di acquisto dato che quais tutti gli scambi avvenivano all'interno del paese e dunque con la stessa moneta o se in un'economia sostanzialmente autarchica come quella dell'Italia post-bellica, che poco acquistava all'estero, la svalutazione era competitiva dato che produceva più vantaggi che svantaggi, oggi nel mondo globalizzato una moneta debole rende solo più poveri tutti, a partire dai meno abbienti). Ciò che invece l'Ing. Ceci coglie nel segno è sulla necessità di avviare dei circoli virtuosi che, attraverso l'indotto, rianimino e facciano ripartire la nostra economia (che guarda caso è in crisi proprio perchè cresciuta solo grazie agli investimenti pubblici ed alle ingenti risorse che los tato, indebitandosi a dismisura, elargiva a piene mani alimentando un sistema economico artificiale, ovvero incapace di camminare con le proprie gambe. O pensate che in questa regione sia necessaria l'ingente massa di dipendenti pubblici che abbiamo e che così pesantemente gravano sui nostri conti. Potremmo tranquillamente fare a meno del 20-25% di essi e la qualità e la quantità dei servizi publici non ne risentirebbe minimamente, anzi migliorerebbe per effetto dei maggiori investimenti in mezzi e ricerca possibili dalle risorse che si libererebbero diminuendo le spese di personale. Solo che questa strada non è percorribile perchè chi è sttao assunto ha dei diritti che devono essere tutelati ed inoltre non sarebbe possibile a breve offrire ad essi opportunità lavorative alternative che gli assicurino un adeguato sostentamento). La difficoltà sta proprio inq uesto limite di risorse che non è sufficiente - da solo - ad innescare un processo così esteso e rilevante come quello necessario a ridare fiato all'economia regionale. Occorre dunque investire le risorse che abbiamo per attrarre altre più massicie risorse (in questo caso private) che svolgano quel ruolo di alimentazione degli indotti che da solo il pubblico non è in grado di assicurare. La ricetta è la stessa ma è più difficile attuarla, a meno di non smettere di illuderci di essere auto-sufficienti e di smettere di guardarci l'ombelico convinti che il nostro vicino di casa sia il più capace e quello dalle idee migliori (di tutte le regioni del centro-nord con cui per lavoro mi sono relazionato nessuna è così chiusa su se stessa come l'Umbria e così refrattaria al coinvolgimento di soggetti, intellettuali, tecnici ed economici che non siano da più generazioni stabilmente residenti dentro ai propri confini amministrativi e geografici).
Giovedì
13/08/15
01:42
In effetti reperire le risorse per effettuare una massiccia iniezione di capitali nella economia reale non è cosa facile per l'assurdo vincolo di stabilità, ma per questo ci sono "i politici" ovvero persone di alto livello culturale e intellettuale in grado di analizzare le dinamiche economiche e sociali del nostro particolare contesto che nonostante la sua esigua dimensione, risente anche egli delle dinamiche mondiali.
Mi riferisco alle migliori menti della regione che non sempre vengono coinvolte nei processi decisionali in quanto non sempre fanno politica attiva, ma che anche essi a tutti gli effetti sono dei "politici".
Queste menti che non si "immischiano" devono essere coinvolte e richiamate ai loro obblighi sociali.
Per tentare di trovare il "COME" bisognerebbe promuovere un tavolo di analisi e confronto per effettuare costruttivamente una analisi approfondita del contesto, che metta in evidenza le conseguenze di ogni scelta strategica possibile.
"I Politici" che svolgono una funzione attiva, spesso tendono a ridurre le discussioni che richiedono conoscenze tecniche a tavoli chiusi in cui ciascuno si confronta coi "suoi", quasi che abbiano timore di un confronto aperto o di perorare soluzioni di parti politiche avverse, come se risolvere i problemi della gente richieda necessariamente la paternità di una buona idea.
L'umiltà di ascoltare anche i tecnici e le loro analisi non significa abdicare all'importante ruolo di rappresentare il proprio elettorato e soprattutto quello di assumersi la RESPONSABILITA' delle DECISIONI in ragione della propria rappresentanza elettorale, ma anzi, a mio avviso, testimonia la capacità di governare intelligentemente nell'interesse di tutti, se non anche una concreta onestà intellettuale.
Un convention di due giorni credo basterebbe per consentire un ampio dibattito interculturale e dare ai maggiori esperti locali o nazionali il modo di farci capire meglio cosa sta avvenendo e quali azioni siano fattibili in Umbria con gli attuali vincoli di bilancio per poi scegliere la migliore per noi.
Per superare i vincoli del patto di stabilità, ci potrebbero essere diversi modi. Alcuni richiedono leggi nazionali, (patrimoniale sui redditi maggiori "una tantum" o sotto forma di acconto sulle tasse future?) oppure ridurre l'evasione fiscale facendo presa su aspetti psicologici quali ad esempio pubblicare un libro bianco nel quale riportare gli imponibili di tutti i cittadini per mettere a nudo pubblicamente la loro effettiva posizione sociale nella graduatoria dei contribuenti. Probabilmente si potrebbe anche valutare la fattibilità di mettere in casa integrazione, per un certo periodo, i dipendenti pubblici in esubero per trasferire il lor costo sugli enti previdenziali, liberando così risorse per gli investimenti locali.
Sono solo alcune provocazioni la cui fattibilità potrebbe essere discussa nella convenction qualora, si organizzasse mai.
Resta la strada più facile: favorire le imprese a fare uso dei fondi europei. Confesso che non ne so molto. Forse una campagna o degli ulteriori incontri per formare e sensibilizzare chi ha capacità sul tema non sarebbe tempo sprecato, soprattutto se ci fossero funzionario o professionisti appositamente addestrati che vadano nelle aziende per fare i progetti assieme ai loro dipendenti.
Resta il problema di individuare i circuiti virtuosi. E'un tema tutto politico, che potrebbe essere discusso nella convention. Gentili fa delle proposte sensate, ma in Italia si sa, spesso i fondi pubblici vengono assegnati agli "amici" e servono solo a loro senza germogliare. E' ormai noto che la ricerca come la formazione è spesso un mero escamotage per pagare i soliti noti.
Anche questo è un tema locale importante. Trasparenza e premiare il merito è cosa ancor più difficile in una regione dove i rapporti personali contano molto e ad un "amico" non si può mai dire di no.
Nihil difficile vole(n)ti c'è scritto su un caminetto in una sale del vecchio Palazzo Deli a Foligno.
Nel 1500 lo avevano capito già, a noi basterebbe fare nostra la loro esperienza. Ma... ne saremo capaci?
Martedì
18/08/15
10:59
Concordo sia con la posizione che con la proposta avanzata dall'Ing. Ceci, convinto che occorrano proposte ed idee innovative per rilanciare l'economia della nostra regione.
Viviamo in un contesto sociale ed economico particolarmente frammentato e non di rado contraddittorio, difficile da leggere ed interpretare e che non permette più, specie per una realtà territoriale come l'Umbria, di restare ancorati ai modelli ed ai processi (tanto produttivi, quanto decisionali) dei decenni passati.
Per quanto sia difficile e tutt'altro che privo di rischi, non esiste una reale alternativa ad una trasformazione sociale e produttiva della nostra regione a meno di non considerare accettabile (e sostenibile) una sua progressiva marginalizzazione e relativo impoverimento.
Occorre dunque allontanarsi dalle strade già battute e per farlo occorre aprirsi al contributo di tutti coloro che possono arricchire il processo decisionale grazie alle proprie competenze e conoscenze.
Comprendo bene che per farlo occorre molto coraggio da parte della classe dirigente locale che così facendo si espone a maggiori rischi ed incertezze sull'avanzamento di carriera a cui legittimamente aspira (rispetto a quelle che può ragionevolmente supporre di correre affidandosi ai consigli di coloro la cui fiducia è di lunga data se non addirittura affidandosi esclusivamente alle proprie capacità ed intuizioni). Sicuramente in alcuni periodi storici le capacità e le qualità del singolo (o di elitè ristrette) sono state sufficienti ad assicurare una ragionevole crescita ed evoluzione della comunità governata (locale, regionale o nazionale che sia), ma mi permetto di dubitare fortemente che nell'attuale contesto tale formulazione possa ritenersi praticabile. Del resto aprirsi a contributi e suggerimenti esterni alla ristretta cerchia politica o tecnico-scientifica di fiducia non indebolisce né l'autorità, né il ruolo di chi è chiamato a rappresentare i cittadini nelle sedi decisionali pubbliche. Per quanto si specializzi la società umana avrà sempre bisogno di soggetti capaci di farsi portatori e mediatori delle istanze sociali ed economiche a cui delegare la responsabilità di assumere decisioni colettive. Non è dunque il ruolo politico che rischia di essere messo in discussione da una maggiore apertura nei confronti di chi è portatore di conoscenze e competenze specifiche. Casomai se c'è qualcosa da rilevare nel rapporto tra politica e conoscenza è l'eccesso di diffidenza, purtroppo oramai prossima ad uno stato patologico, verso chi si propone di contribuire allo sviluppo ed alla crescita della comunità quando il ,soggetto è esterno all'attivismo politico che viene (quasi sistematicamente) scambiato per un concorrente pronto a competere per le cariche politiche, quando nella quasi totalità dei casi si tratta solo di cittadini che ancora posseggono una tensione civile nei confronti della comunità a cui appartengono. Viviamo una fase di profonde trasformazioni nelle quali l'eccesso di prudenza rischia di produrre (inconsapevolmente) più danni dell'eccesso di coraggio. Se davvero, oltre alle legittime aspirazioni di carriera personale chi è chiamato a ricoprire ruoli decisionali pubblici ha anche a cuore il bene della comunità che gli ha concesso la fiducia allora deve sforzarsi di ascoltare con maggiore attenzione chi, per competenze e/o conoscenze, è in grado di offrire un punto di vista più articolato e nitido sulle questioni dirimenti per il nostro sviluppo. Sono certo che una tale apertura possa rappresentare il fattore (positivo) determinante per la qualità del futuro che ci attende e sarebbe un grave errore non perseguirla. Anche perchè non sarà certo il numero dei mandati ricoperti ad assicurare la serenità quando col passare inesorabile del tempo l'importanza delle ricchezze e dei titoli accumulati sfumerà fino a svanire; a farci sentire in pace con noi stessi e con chi ci succederà sarà casomai la consapevolezza di aver agito, pur con i propri limiti, per il bene della comunità a cui apparteniamo anteponendo i suoi interessi ai nostri particolari.