di Nicola Mariuccini

Con il referendum sul taglio dei parlamentari si chiude, per decretato fallimento, la stagione delle riforme.

Siamo infatti chiamati a votare (e voteremo un secco No) su una misura che incide in profondità sull’assetto e sul funzionamento del Parlamento della Repubblica senza che sia stata neanche imbastita alcuna riforma che abbia a cuore il funzionamento del cuore politico del paese.

È infatti proprio al cuore della politica che mira il taglio: esso è l’implementazione, a livello dell’ingegneria costituzionale, della metafora “Apriremo il Parlamento come una scatoletta di tonno”, citata da Grillo con eversiva enfasi.

Abbattere il livello della rappresentanza di una democrazia rappresentativa non può che essere un attacco alla democrazia stessa e sbaglia, gravemente, il PD a non schierarsi apertamente per il No, lasciando così alla destra (quella dei pieni poteri) la difesa della base democratica del paese.

Lo sbandierato risparmio, gonfiato ed artefatto dai sostenitori del Si ammonterebbe a non più dello 0,007% annuo del Pil, mentre la rappresentanza cala a un parlamentare ogni 100.000 abitanti, meno della metà della Gran Bretagna.

Il ministro degli Esteri Di Maio cerca di convincere gli italiani, dallo scranno più alto della Farnesina, che questo sia un voto anti casta e lo fa parlando a nome di un movimento, che vota le modifiche ai propri valori fondamentali con il pulsantone elettronico di una piattaforma privata detenuta da una azienda, la Casaleggio, che controlla gli stipendi di un terzo degli attuali parlamentari della Repubblica.

Ai tanti indici accusatori di questo obbrobrio costituzionale si è aggiunto, in questi giorni, quello di Luciano Violante che ha posto l’attenzione anche sul funzionamento delle camere: il Senato con 200 membri non riuscirà, afferma Violante a stare dietro ai provvedimenti della Camera bloccando di fatto il funzionamento del meccanismo paritario e finendo pertanto per indebolire ulteriormente l’incidenza del parlamento sui provvedimenti del Governo.

Si parla tuttavia di calo dell’incidenza del Parlamento ma non di veto poiché con il calo a 200 membri, al Senato la maggioranza sarà di 101 e questo aumenterà il peso personale di ogni singolo Senatore, finendo per incentivare i cambi di casacca e la stabilità dei governi. Alla faccia dello sbandierato vincolo di mandato di cui, fra l’altro, nella scheda referendaria non vi è traccia.

Tornando al Pd, di cui ho a cuore l’opinione, non fosse altro che per l’importanza quasi totalitaria che esso riveste nel quadro del centro sinistra, nel condividere con Bonaccini la necessità del partito di assumere una posizione netta, giudico negativa la scelta del Presidente della Emilia Romagna di aver scelto proprio quella del si, senza neanche il rispetto degli impegni sui correttivi e sulla legge elettorale è la posizione del Hara Kiri.

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