“Chi ha tempo, non aspetti tempo”. Mi sembra che detto proverbio non possa che attagliarsi perfettamente a quanto accadrà da qui ad Ottobre prossimo, mese durante il quale, salvo imprevisti, il popolo italiano dovrà pronunciarsi su quella che non esito a definire come la “ kako-riforma (pessima riforma) costituzionale”, voluta dal pinocchietto fiorentino (alias Renzi) e, di fatto, corredata e controfirmata dal toscano pluri-rinviato a giudizio per estesa delittuosità (alias Verdini).

Ottobre pare lontano e, invece, è dietro l’angolo: ragion per cui mi sento di non attendere tempo per illustrare i fondati motivi di un chiaro e tondo NO al referendum costituzionale.

Procediamo con ordine, principiando dall’esame sintetico dei cambiamenti che interverranno qualora la “kako-riforma” dovesse essere malauguratamente confermata dal voto popolare.

L’aspetto di maggiore rilevanza risiede nella cancellazione del bicameralismo paritario. Scomparirebbe, infatti, l’attuale Senato elettivo e, al suo posto, subentrerebbe un organo di secondo livello composto da 74 consiglieri regionali, 21 sindaci e 5 senatori nominati dal presidente della Repubblica, tutti in carica per ben sette anni.

Detto organo, denominato il Senato delle Autonomie, avrà poteri decisamente più limitati rispetto alla Camera dei Deputati: non gli spetterà più il voto di fiducia al governo, i disegni di legge ordinari non dovranno passare ancora per entrambi i rami del Parlamento, fatta eccezione per riforme e leggi costituzionali. Su tutte le altre leggi, Palazzo Madama potrà esprimere dei pareri e chiedere eventuali modifiche alla Camera che, comunque, rimane l’unica assemblea legislativa.

Cambieranno pure sia il plenum che le modalità di elezione del Capo dello Stato: spariranno i 58 cosiddetti “grandi elettori”, cioè i rappresentanti delle Regioni, e cambierà il quorum con una progressione per la quale sarà sufficiente la maggioranza assoluta dei votanti a partire dal nono scrutinio.

Infine, molteplici competenze verranno tolte alle Regioni per ritornare allo Stato centrale e, tra esse, le politiche energetiche e le infrastrutture strategiche. Colmo dei colmi, inoltre, sarà che la Camera, su proposta del governo, potrà approvare leggi anche su materie di competenza regionale quando ciò lo richieda il superiore interesse nazionale. Vi è solo da domandarsi, a tal punto, a cosa servano delle Regioni così svuotate di poteri e, dunque, inutili oltreché costosissime.

Dalla lettura di quanto precede, balza subito evidente, agli occhi di chi sprovveduto non è, di come basterebbe annotare il seguente motivo fondamentale per respingere il subdolo tentativo riformatore: la Costituzione italiana, democratica e repubblicana, così non viene riformata, bensì totalmente snaturata e chi la vuole difendere non sia tacciato di conservatorismo dell’esistente mentre, anzi, è onesto sostenitore di revisioni delle istituzioni che conferiscano più voce ai cittadini e non alle oligofreniche oligarchie provvisoriamente dominanti.

Chi voterà NO, non è per l’immobilismo istituzionale, tutt’altro, e ciò perché si batterà per non addossare alla Carta Costituzionale responsabilità che appartengono, invece, ad un ceto politico corrotto e inadeguato.

In tal maniera, però, passerei per un semplicista  e, non volendo sottrarmi a più dettagliate argomentazioni, Vi rimando ad esse nelle prossime puntate.

Mario Tiberi    

Condividi