Perugia anno zero
Le stagioni della città in alto non sono le stesse di quelle della pianura. Non ci sono i canti delle cicale in estate e la brina che somiglia alla neve in inverno. Tutto è più lento e silenzioso. Ora che la nebbia se n'è andata ed è arrivata la tramontana la città è quasi deserta. Bisognerà aspettare i raggi del sole dritti a mezzodì lungo Corso Vannucci per sentire negli occhi il lento cambiare delle stagioni e la luce accecante che è il barometro della città, la sua macchina del tempo.
Inutile lamentarsi se le vie sono deserte e i negozi vuoti. Fa freddo e la città, come le stagioni, non è più quella di una volta. Non c'è il via vai dei sensali di via Mazzini, i clienti dei soliti negozi che venivano dalla campagna il martedì e il sabato, i pensionati in piazza a discutere, i giovani sulle scalette del duomo, le coppie a spasso con i carrozzini, i professionisti dei tanti mestieri liberali con le loro borse di documenti, gli avvocati, i notai, i geometri e poi gli artigiani a correre a bottega, gli impiegati degli uffici pubblici.
Per rivedere la città in movimento si dovrà aspettare la bella stagione e il sonno della tramontana, ma poi, che movimento? Chi si muove ancora in questa città di salite, scale, vicoli deserti? Le associazioni dei commercianti hanno studiato la situazione ed hanno lanciato il consueto allarme. I negozi chiudono, lentamente, un po' alla volta, ma chiudono. Mica tutti, ci mancherebbe, solo uno su quattro in questi anni di crisi. Non è poco. Chiudono o si trasferiscono più in basso dove ci sono, dicono, più parcheggi. Si diffondono un po' ovunque pizzerie e paninoteche, kebab, negozietti dall'identità indefinita, piccolissimi locali che offrono specialità gastronomiche confezionate in buste trasparenti e, soprattutto, birra e vino che più che ai turisti interessano ai giovani, la sera.
Non c'era bisogno di starci a studiar sopra molto. E' così da tempo. Forse abbiamo semplicemente la memoria corta, ma non siamo all'anno zero. L'anno zero rappresenta un tempo indefinito che sta lì, alle nostre spalle, senza che si decida a fare un passo in avanti. Di queste cose discutiamo da un sacco di tempo. E' vero, siamo al settimo anno di una crisi economica molto pesante, per questo stiamo fermi in attesa che in fondo al famigerato tunnel si accenda una luce. La gente spende di meno e allora ci disponiamo ad aspettare i turisti che, però, arrivano e se ne vanno in giornata.
Per questo ci sono più pizzerie e meno negozi di abbigliamento o, semplicemente, di alimentari, frutta e verdura. Non siamo una città baciata dal turismo di massa però non facciamo altro che aspettare che qualcuno si decida a salire le scalette impervie del colle perugino o che scopra anche il minimetrò e le scale mobili. Il problema è reale, intendiamoci, ben vengano i turisti, ci mancherebbe. Perugia deve però ritrovare se stessa e tornare ad essere una città attrattiva per tutti, in primo luogo per chi ci vive e per chi vorrebbe tornare ad abitarci.
Quando gli esercenti mettono al primo posto il problema della crisi del centro pronunciano la solita parola magica, la vecchia motivazione negativa che si chiama "accessibilità". Nel farlo pensano ovviamente all'uso dell'auto privata, ai pochi parcheggi, al traffico limitato di mattina. E' curioso che lo studio di Confcommercio non citi l'espansione abnorme dei supermercati che abbiamo subìto passivamente in questi anni e la fuga dolorosa di tanti residenti che pure sono i loro primi clienti.
Del resto, non tutti ma di sicuro la grande maggioranza degli esercenti, non crede più di tanto ormai al centro storico. Adesso va di moda via Cortonese dove i giovani arrivano, parcheggiano, fanno quattro passi quattro e ordinano un bel tagliere di mozzarella, prosciutto e olive. Aperitivi. Così tutti li inseguono. Mac Donald's ma anche il bel negozio di Paris Ricci, il "Bandito", che viene chiuso ai Tre Archi, per disporre le vetrine sotto i loro occhi.
Questi modelli di consumo si diffondono un po' ovunque in quelle zone che sociologi con la puzza sotto il naso chiamano "non luoghi". A Firenze, che pure si gode e subisce il turismo di massa, stanno ripensando la città. Via i locali senza spazio e senza servizi e di discutibile qualità, basta con la vendita di alcolici incontrollata, ai kebab che prendono il posto dei negozi storici, regole nuove per i fast food. Si rispetterà il regolamento dell'Unesco. Patrimonio culturale, salute dell'aria e del cibo. Le città storiche possono cambiare e proporre stili di vita e interessi più vicini alla modernità che citiamo spesso ma non sappiamo cosa sia.
A Perugia perdiamo negozi e residenti? Lo sappiamo, succede da decenni, ma qual è il progetto per non restare all'anno zero e non continuare a piangerci addosso?
Renzo Massarelli
Lunedì
25/01/16
13:19
Interessante domanda (ed analisi) di non facile risposta; anzi senza alcuna risposta possibile.
Nel senso che non esiste "una risposta" in grado di risolvere da sola il problema (e dunque non esiste un unico soggetto in grado di attuarla) mentre esistono tante molteplici strade da percorrere che insieme possono contribuire ad invertire o comunque mitigare una tendenza non certamente di esclusivo carattere locale (ma che attiene ai cambiamenti socio-relazionali ed economici contemporanei) ma che a Perugia si è manifestata (per le sue peculiarità fisiche, storiche e socio-economiche) in forme più accentuate che altrove.
Una di queste strade attiene alla definizione di una nuova vocazione urbana che la città ha smarrito e che fatica a ritrovare. Una vocazione che deve invece essere ri-trovata perchè la sua (ancora forte) dipendenza economica dal comparto pubblico non le permette di essere più autosufficiente (e lo sarà sempre meno in futuro). Anche il ruolo (da un punto di vista economico) di importante sede universitaria non rappresenta e non può rappresentare la principale vocazione cittadina, sia perchè un eccessiva concentrazione di studendi universitari non è facilmente sostenibile da una realtà come quella di Perugia, sia perchè le tendenze che si stanno consolidando in quetsi anni attestano che comunque non vi siano neanche le condizioni esogene (oltre quelle endogene cittadine) perchè questa si strutturi. L'idea di "agganciare" la città di Perugia a quella di Assisi per beneficiare dell'imponente flusso di turismo di carattere religioso che si convoglia su quest'ultima è sicuramente da sviluppare (a prescindere dall'esito della candidatura a capitale europea della Cultura) ma anch'essa da sola non risolutiva. Servono dunque ulteriori idee per la città che sfruttino la sua collocazione baricentrica e la sua alta qualità della vita (come, a mio avviso, diventare attrattiva per seminari e convegni e soprattutto per accogliere il segmento anziano della popolazione europea) e soprattutto serve la capacità, la competenza e la costanza di metterle in atto.
Claudio Fondelli
Lunedì
25/01/16
14:16
Purtroppo Lei ha ragione.Perugia e di conseguenza l'Umbria,e' una delle prime realta' in Italia per arretramento culturale.
La bellissima atmosfera che si respirava negli anni 70-ed in parte 80.e' scomparsa.
Vi era aria di liberta' ,aprtura,creativita',facilita'nei rapporti,che ne facevano una vera locomotiva in Italia ed all'estero;gli studenti facevano a gara dall'Italia e dall'estero per venire a vivere qui'.
Vivi e lascia vivere sembrava il motto di quel periodo.
Ma Lei non dice che in fondo quello era il risultato delle "menti"che governavano il processo.
Parli delle "menti attuali",del provincialismo immobile che ha conquistato Corso Vannucci o Corso Tacito,che si parla addosso e di fronte ai veri nuovi problemi si rinchiude in se stesso,si tappa in casa in un giro controllato di cene borghesi,di complotti accennati,di "mors tua vita mea"etc..
D'altronde ,come narrava il poeta"che cosa canteremo nei tempi bui...?Canteremo dei tempi bui..!