di Giuseppe Castellini

Credo sia il caso di far tornare d'attualità un tema che sembra scomparso dall'agenda non solo italiana, ma di molti Paesi occidentali: ossia la piena occupazione come obiettivo principale della politica economica.

Negli anni Sessanta del Novecento (e in parte anche negli anni Cinquanta) era il tema dominante, il faro che, pur nelle diverse contingenze economiche, costituiva il punto di riferimento del dibattito politico ed economico. Oggi su questo obiettivo cruciale prevale la rassegnazione (o meglio il circuito rabbia-rassegnazione, che spesso ha sbocchi non gestibili).

Il tema, peraltro, traspare dall'articolo 1 della nostra Costituzione, in una formula un po' vaga ("L'Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro") ma nella quale si può leggere la tensione verso l'obiettivo della piena occupazione.

Sembra che ci siamo rassegnati, in Italia certamente ma non solo in Italia, a tassi di disoccupazione elevati peraltro spesso accompagnati, come da noi, a un’levata quota di inattivi, tra i quali molti scoraggiati che, dopo aver provato a cercare più volte un lavoro dignitoso, non riuscendo a trovarlo non lo cercano più. Perché il tasso di disoccupazione in senso stretto (oggi in Italia al 9,8%) riguarda solo coloro che accetterebbero un qualsiasi lavoro qualora fosse loro offerto, ma a questi vanno aggiunti coloro che lo hanno cercato senza trovarlo e, appunto, non lo cercano più, uscendo quindi dal computo delle forze di lavoro per essere catalogati tra le 'non forze di lavoro'. E andrebbero aggiunti anche altri che, per brevità, non sto qui ad elencare.

Insomma, il tasso di disoccupazione reale è ben più alto di quel 9,8% e i dati Istat, se si guardano tutti, lo dicono chiaramente. Basta vedere, ad esempio, le cifre Istat sulla differenza tra il Pil attuale e Pil potenziale, ossia tra Pil attuale e quello che l'Italia avrebbe se tutti (o quasi) coloro che sono in età da lavoro fossero occupati. Un gap spaventoso. Il crinale tra successo e insuccesso di un Paese sta nella grandezza di quel gap.

Certo, so bene che il lavoro non si crea per decreto, che il tema è complesso, che è collegato con la produttività e tante altre cose. Ma a me qui preme sottolineare che, dietro tanti discorsi che ascolto, traspare la malcelata volontà di mettere in sordina, di anestetizzare questo tema, quando invece dovrebbe essere al centro del dibattito.

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