Ieri ho avuto il cuore spezzato due volte. A poche ore di distanza l'una dall'altra si sono spenti Serena Innamorati e Mario Andrea Bartolini, due figure di spicco del Pci e, nel caso di Serena, della sinistra umbra dopo lo scioglimento del Pci, cui, con Rifondazione Comunista, Mario volle rimanere fedele. Certo, sul piano umano e del sentimento i due dolori non sono confrontabili. Mario, ternano di nascita e residenza, aveva raggiunto un'età, credo 86 o 87 anni nella quale la morte, pur sempre crudele, può essere quasi accettata. Egli, che da questo punto di vista mi suscita il ricordo di mio padre, col quale era molto legato anche se di generazioni diverse, ha vissuto una vita intensa, piena di passioni e di successi (certo con qualche amarezza) e l'ha vissuto in modo pieno e, fortunato lui, a modo suo.

La morte di Serena, 67 o 68 anni, è inaccettabile.
Credo che la definizione con cui era spesso indicata, la "figlia di Innamorati" (avvocato, pietra miliare della Resistenza in Umbria, dirigente di primo piano e amministratore pubblico del Pci, tuttora vivo e vegeto a più di novanta anni) non le pesasse, come è stato per me ("il figlio di Caponi"), più di tanto.

Serena non era la figlia di Innamorati. Serena era una intellettuale colta, dinamica, "elettrica", professionalmente bravissima, come archivista e dirigente della Biblioteca Comunale Augusta. La conosco che eravamo bambini ed era, consentitemi questa espressione una donna "con le palle".

Politicamente era rocciosa, ma anche un quadro di valore e una combattente per sue autonome idee. Seguì Occhetto nel Pds, per sua convinzione, ma dal dal punto di vista personale (per carità nessuna polemica con nessuno!) fu un errore. Credo che il Partito le abbia dato di meno di quel che meritava. Anche io, se fossi rimasto lì (certo non me ne sono andato per questo perché, con gli altri compagni mi immergevo in una ignota avventura dal dubbio futuro) avrei avuto meno spazio di quel che ho avuto.

Da ultimo la vedevo e la sentivo spesso. Era presente e protagonista alle Conferenze dell'Associazione culturale di Porta S. Susanna e anche lì, per quello che ho visto, non interveniva, preferendo forse rimanere in seconda fila, con modestia inusuale mentre sarebbe dovuta intervenire magari per correggere qualche coglioneria detta dal sottoscritto.

Sapevo che stava male, l'avevo anche sentita. La sua vita si è bruciata in pochi mesi. Il rammarico è accresciuto dal pensiero di quanto poteva ancora dare.

Il ricordo di Mario mi riporta, come dire, a un'aria di casa, quella casa di operai comunisti nella quale sono nato e cresciuto, ai locali puzzolenti di fumo della CGIL e della Federazione, alla puzza dell'inchiostro del ciclostile, al sogno, che sembrava imminente, di poter fare un mondo nuovo. Mario è stato segretario della CGIL ternana e poi, per dieci anni, Segretario regionale, Deputato al Parlamento per tre legislature nella Circoscrizione Terni Rieti. Un pezzo del movimento operaio umbro e italiano che se ne va. Uno degli ultimi esponenti di quel gruppo dirigente, terzinternazionalista e togliattiano, che fece crescere l'Umbria, i diritti dei lavoratori, una identità regionale e la sua modernizzazione.

Questi ignoranti e bugiardi, che governano oggi l'Italia e che parlano del passato come una rovina, dovrebbero sciacquarsi la bocca e studiare la storia prima di parlare di persone che hanno fatto grande l'Italia e costruito, dall'arretratezza e dalla miseria una nuova Umbria.
Ciao Serena, ciao Mario, riposate in pace, orgogliosi della vita che avete fatto.

Leonardo Caponi

 
 
 
 

 

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