di Giuseppe Castellini

Tra tante parole di circostanza che sanno sempre un po’ di cartolina patinata, le uniche che mi hanno colpito sono quelle del giornalista Gianfranco Ricci, che ha saputo con poche frasi cogliere a pieno la figura di Luciano Moretti - politico, giornalista, uomo di potere, persona raffinata e gentile ma soprattutto uomo di cultura - scomparso questa mattina. “Ciao Luciano, amico eterno – lo ricorda Gianfranco Ricci - Hai portato via dolcezza, ironia, incommensurabile capacità di costruire il gruppo e di farlo sentire orgoglioso della tua vicinanza. Ci hai educati ad affrontare la vita con l’equilibrio – il tuo- di una persona che non conosce la cattiveria. Una persona disposta a chiedere con garbo, ma miliardi di volte pronta a dare senza sollecitare nulla in cambio. Ci hai abituati a sorridere anche di fronte a chi tanti benevoli sorrisi non se lo meriterebbe. Anche in questi giorni - i tuoi ultimi- sei riuscito a coinvolgerci nel sollievo dei buoni ricordi. Ci hai tirato su, proprio tu che avevi consapevolmente, qualche motivo per stare giù . Restaci vicino. Ne abbiamo bisogno. Gianfranco”.

Alle parole di Gianfranco, alle quali davvero c’è poco da aggiungere, desidero scrivere a margine alcune parole per ricordare una persona di cui ho apprezzato il garbo, la gentilezza, il sorriso ma soprattutto la curiosità intellettuale. Uomo anche di potere e di parte, certamente, ma mai di un potere volgare e incolto. Luciano Moretti, infatti, prima di ogni altra cosa era un uomo di cultura, di buone letture, con il quale potevi discutere e anche essere in disaccordo ma sempre a un livello alto, nobile. Era di quella generazione con una certa idea di democrazia, in cui c’era posto per la mediazione, per l’equilibrio, nella convinzionedi non essere, e di non voler essere, autosufficienti. Ed era di quella schiera di democristiani impregnati della dottrina sociale della Chiesa sul piano politico e dotati di una cultura laica, talvolta nei fatti più laica di coloro che del laicismo facevano una bandiera. Cattolici adulti, insomma, che avevano dato una lettura ‘aperurista’ al Concilio Vaticano II. Luciano, infatti, ha fatto parte di quella generazione di cattolici democratici che trovò la sua condensazione culturale e civile nel Concilio Vaticano II e nella gestione, tormentata e difficile ma quanto mai fertile che del Vaticano II fece Paolo VI durante il suo lungo pontificato. Per non pochi democristiani umbri la lettura ‘aperturista’ del Concilio Vaticano II fu dettata, più cge dalla convinzione e da un’elaborazione culturale e sociale, dalla necessità di convivere e non perdere il contatto con le masse in una regione che, dopo essere stata tra le più fasciste, era diventata tra le più rosse. Forse anche in Luciano c’era questo aspetto, ma nei dialoghi che nel corso degli anni ho tenuto con lui ho avuto sempre l’impressione che quel modo di essere cattolico democratico, come pure avere un’impronta assolutamente laica senza alcun cenno per quanto lieve di confessionalismo fosse, prima di tutto, una sua convinzione intima, idee maturate, condensate, distillate.

L’ultima volta che lo vidi fu un anno fa. Lo incontrai a Perugia in piazza Italia e, come al solito, fu gentilissimo. Mi accolse con un sorriso particolarmente largo e mi disse che era felice che non avessi mollato nonostante la vicenda – che in tutto l’Occidente sviluppato può accadere impunemente solo in un Paese a legalità levantina come l’Italia – del Giornale dell’Umbria. Non gli importava come fosse schierato il nuovo foglio e altre mene del genere. Lui era felice che non avessi mollato.Mi abbracciò nel giardino di piazza Italia e lo vedo ancora salutarmi, questo signore colto e gentile, con le mani che si agitano e la faccia quasi che si scusava di questa sua espansivilità. Ecco, io lo ricordo così e quell’ultima immagine che ho di lui mi ha fatto allora, e mi fa ancora di più oggi, molta tenerezza. La terra ti sia lieve, Luciano.

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