“Il rigore più fantastico di cui io abbia notizia è stato tirato nel 1958 in un posto sperduto di Valle del Rio Negro, una domenica pomeriggio in uno stadio vuoto”: così esordisce Pensare con i piedi di Osvaldo Soriano.  Uno spazio lontano, improbabile, fuori dai circuiti consueti. Un tempo definito con precisione apparente: solo sappiamo dell’anno, un anno lontano, il millenovecentocinquantotto. E del tempo diremo ancora, con lieve anticipazione, che esso non aderisce alle usuali misurazioni, cui ci costringono i rigidi calendari o i puntigliosi almanacchi, e che anzi si presta ad essere fantastico non meno di quel rigore da cui tutto pare scaturire. Basti sapere che l’esecuzione che vide il Gato Diaz e il cannoniere Gauna misurarsi in un duello da leggenda occupò una porzione di tempo inaudita, un’intera settimana.

L’esordio straniante, inverosimile introduce ad una narrazione realistica ma appassionata ed appassionante delle vicende di personaggi anonimi, picari, avventurieri tendenzialmente dediti alla solitudine, che vivono vite marginali in un luogo ai confini del mondo. Non è qui il luogo di addentrarsi o di cercare di aggiungere qualcosa di nuovo ed originale che riveli la cifra della scrittura di Osvaldo Soriano; una scrittura che pare semplice, scaturire dalle cose stesse, aderire perfettamente alle vicende che narra, agli uomini che ne sono a vario titolo protagonisti. Una scrittura epica, che trova in se stessa, nel piacere e nella gioia di narrare peripezie, fatti più o meno credibili la propria giustificazione, quel che la rende eccelsa, sempre viva, come scritta ieri.

Il discorso di Soriano parte dalla propria vicenda personale, familiare, passa a quella corale del mondo che lo vede nascere e farsi uomo, per poi abbracciare la vicenda storica di quel paese grande e tragico che è l’Argentina. Quel che attrae qui la nostra attenzione è la sezione dedicata al calcio, che dà il titolo all’intera raccolta. A quel calcio cui l’autore dedicò con passione gli anni della gioventù (pare sia stato un ottimo centravanti); di cui si occupò e scrisse per il resto della propria esistenza. Sport in cui, come dallo stesso titolo appare evidente, quella parte del corpo cui ordinariamente è demandata la mera funzione della locomozione, si trasforma per incanto in strumento di creazione,

Il pensiero qui pensiamo stia per la capacità, la facoltà di creare bellezza, Il pallone per il calciatore che sa “pensare con i piedi” è quel che per il pittore è il pennello; per il musicista lo strumento (non casualmente tocar è il verbo che in spagnolo designa le due attività).  Un calcio praticato, e qui raccontato, “more estetico”. Ma non solo, il racconto che Soriano ci propone dello sport più popolare ci dice di un mezzo, forse il solo, che riesce a mettere in connessione, a fare convergere i destini, altrimenti destinati a non incontrarsi all’infinito, di personaggi che si danno convegno in un luogo dove il mondo pare avere fine, dove la solitudine e il silenzio paiono altissimi,   insuperabili. Ebbene, proprio lì, la magia del calcio permette a quegli uomini soli di organizzare un improbabile, avvincente e chiassoso campionato del mondo.

In quel 1942 in cui le nazioni “civilizzate” sono impegnate in una contesa ben più tragica e orrenda si celebra, in un luogo sperduto dell’emisfero australe il mondiale che la “pausa bellica” ha rimandato a tempi migliori. Inutile dire che vano sarebbe cercarne menzione nei libri di storia calcistica. Forse per questo è necessario leggerne nel libro di Soriano.

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