“Il progressivo inasprirsi della crisi economica e la sua evoluzione in senso recessivo stanno mettendo in evidenza l'incapacità dei sistemi economici di risolvere le difficoltà in cui da tempo versano i lavoratori, i pensionati e le loro famiglie”. Parte da questa constatazione il documento unitario di Cgil, Cisl e Uil dell'Umbria, varato oggi al termine dell'Attivo regionale unitario dei delegati, svolto a Perugia, un “canovaccio” che ora sarà al centro di una fase di partecipazione nei luoghi di lavoro e di mobilitazione unitaria, per chiedere di restituire centralità al lavoro e alla produzione.

 

Quella centralità che è fortemente mancata nelle politiche del Governo Monti, “incentrate totalmente sul rigore” e “inadeguate a risolvere i problemi di cui soffre da tempo il Paese”. Problemi che in Umbria sono ancora più evidenti, a causa di una “sottovalutazione delle evoluzioni economiche da parte di molti soggetti coinvolti, pubblici e privati”, con l'ultimo pesantissimo allarme determinato dalla vicenda Thyssen-Outokumpu che mette in discussione la prima industria regionale, con tutto il suo peso in termini di Pil ed esportazioni per l'Umbria.

 

Nel corso del dibattito, coordinato dal segretario generale della Cgil dell'Umbria, Mario Bravi e costellato dagli interventi di numerosi delegati sindacali delle principali realtà industriali dell'Umbria, i segretari generali di Cisl e Uil Ulderico Sbarra e Claudio Bendini, hanno insistito sulla necessità di uno “scatto” verso la costruzione di “un nuovo modello di sviluppo economico di sviluppo sociale ed industriale”, attivando al più presto quelli che gli economisti chiamano “motori autonomi dello sviluppo”.

 

Il primo di questi motori deve essere “un'industria manifatturiera riqualificata e attrezzata per essere capace di far fronte alla competizione sul mercato globale, puntando sulla qualità del prodotto e sull'innovazione avanzata, promuovendo anche interazioni con i territori limitrofi”. Non è possibile che il manifatturiero in Umbria rappresenti solo il 17% del Pil – hanno ribadito i sindacati – ed esiste un problema ormai strutturale, in termine di investimenti e capacità di innovazione e sviluppo. A tale proposito, un dato emblematico lo ha portato nel suo intervento Claudio Carnieri, presidente dell'Aur: gli investimenti privati in Umbria in ricerca e sviluppo – ha detto - pesano solo per lo 0,23% del totale nazionale e collocano la regione nelle ultime posizioni in Italia.

 

Il secondo motore di sviluppo indicato dai sindacati è quello della filiera turismo-ambiente-cultura, il cui rilancio, però, passa anche attraverso una diversa idea della regione, sia a livello di modelli di consumo, che di stili di vita. Anche qui un dato emblematico portato da Carnieri: nella regione, per ogni 100 abitanti, esistono 114 metri quadrati di superficie commerciale. In Italia il rapporto è di  88 ogni 100 abitanti. Una sproporzione che non trova giustificazione nei dati sulla ricchezza prodotte in Umbria, che è invece nettamente sotto la media nazionale, con un pil procapite di 18.447 euro, contro una media nazionale di 20.043 e la vicina Toscana che raggiunge i 22.067 euro.
Il terzo fondamentale motore di sviluppo è “un sistema di protezione e di intervento sociale, capace di garantire una rete di servizi avanzati alle persone, alle famiglie ed al sistema imprenditoriale, anche con il contributo sussidiario di tutto un mondo fino ad oggi considerato marginale rispetto all'intervento pubblico”.

 

Questi i tre snodi cruciali da cui far ripartire l'Umbria, affrontando però al tempo stesso quelle che sono le fragilità storiche di una regione “troppo piccola e isolata”. Fragilità che sono soprattutto da individuare, secondo Cgil, Cisl e Uil, nella mancanza della massa critica e nell'incapacità di “fare sistema”, non solo al proprio interno (con consorzi e reti di imprese), ma anche con le realtà confinanti. E poi, in una macchina amministrativa pubblica che deve essere “più funzionale e più attrezzata per contribuire al sostegno della ripresa economica”, accelerando quindi sulle riforme endoregionali ed istituzionali, soprattutto per garantirne l'efficienza effettiva. Tra queste, i sindacati umbri indicano come prioritaria la creazione di una “cabina di regia”, presso l'assessorato allo Sviluppo Economico, al fine di attivare “il più ampio coordinamento sia nella gestione delle crisi, sia per lo sviluppo di nuove politiche industriali”.

 

Infine, sottolineano i tre sindacati umbri, va tenuto conto dell'invecchiamento biologico della popolazione, che in Umbria è particolarmente accentuato, e comporta un costante incremento della spesa per l'assistenza (oggi il 75% della spesa corrente in Umbria è destinato alla sanità) e una parallela riduzione della forza lavoro. Dunque, dalle tre confederazioni umbre parte un appello chiaro agli interlocutori privati e pubblici: serve una nuova stagione di politiche industriali, che devono avere prima di tutto matrice nazionale, ma che vanno declinate anche a livello regionale affrontando finalmente di petto le criticità esistenti e rimettendo al centro del dibattito il lavoro, la produzione e l'industria. “L'iniziativa di oggi qui in Umbria è importante perché dà continuità alle iniziative unitarie che si stanno moltiplicando in tutto il Paese, proprio sui temi delle politiche industriali  – ha detto Elena Lattuada, segretaria nazionale della Cgil, concludendo i lavori dell'attivo – perché ormai è chiaro a tutti che la coerenza dei conti è importante, ma da sola non risolleva il Paese”.

 

Al termine dei lavori, si è scelto di proseguire il percorso costruendo una piattaforma da condividere con i lavoratori, convocando assemblee in tutti i luoghi di lavoro e avviando parallelamente una mobilitazione che porterà già nel mese di novembre i sindacati umbri ad organizzare una manifestazione regionale per ridare centralità al lavoro.

 

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