di Luigi Li Gotti

 

La decisione della Corte Costituzionale sul destino delle quattro telefonate fatte da Mancino a Napolitano ed intercettate,  essendo sotto intercettazione il telefono di Mancino,  fa tirare un sospiro di sollievo a molti che  approfittano della decisione della Corte,  per dire che la vicenda è chiusa e che erano nel torto i critici del Colle.

 

In verità,  si omette deliberatamente di considerare che le questioni erano due:

1.  quella relativa alle telefonate note di Mancino al Quirinale,  contenenti la sua richiesta d’aiuto per evitare il confronto con Martelli,  la serie di possibili interventi sino al tentativo di togliere l’inchiesta alla Procura di Palermo. Queste telefonate,  cui sono poi seguiti interrogatori ed esami testimoniali, determinarono l’infuocata polemica per la pretesa di Mancino, affinché la Presidenza della Repubblica  intervenisse per evitargli il fastidioso confronto con Martelli.  Si valutò non ortodossa la disponibilità del Quirinale di dare ascolto a Mancino e si valutarono abnormi le iniziative in tal senso. Questa fu la polemica infuocata:  l’ascolto alla lamentazione di Mancino e la sua richiesta “di non rimanere con il cerino in mano”.  Con i conseguenti e documentati passi.

 

2.  altra e diversa questione è stata quella inerente il conflitto di attribuzione  sollevato dal Capo dello Stato con il ricorso alla Corte Costituzionale,  avente ad oggetto quattro telefonate direttamente intercorse tra Mancino e Napolitano.  Non conosciamo il contenuto delle suddette quattro telefonate.  La polemica ebbe come oggetto l’opportunità di sollevare il conflitto con la procura di Palermo, proprio su una questione astrattamente collegata alla vicenda delle indagini sulla trattativa Stato-mafia.  Peraltro,  ben può essere che,  nelle quattro  telefonate intercettate,  del tutto estraneo sia il contenuto.  E’ certo che la Procura di Palermo ha dichiarato che detto contenuto è penalmente irrilevante.  La questione era sul come procedere alla distruzione di tali intercettazioni. Ora la sentenza ha deciso che spetta al Gip procedere alla distruzione  (peraltro era questa la tesi della Procura di Palermo), con modalità in verità non rinvenibili nel codice.  Si capirà di più quando si conosceranno le motivazioni.

 

Senonché,   la decisione della Corte su quest’ultima questione fa dimenticare a molti commentatori e politici  il vero oggetto dell’infuocata polemica che rimane quello riassunto al punto 1, ossia le strane ascoltate pretese di Mancino di evitare il confronto per accertare un segmento importante della trattativa Stato-mafia,  cioè la conoscenza della trattativa  (asserita da Martelli e negata da Mancino),  nel 1992,  tra la strage di Capaci e quella di via D’Amelio.

Tanto per chiarezza e precisione.  Non vogliamo essere condannati ad essere struzzi.  Siamo liberi.

 

Fonte: italiadeivalori.it

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