di Roberto Ciccarelli

Nel Documento di economia e finanza (Def) approvato dal governo Monti mercoledì esiste un capitolo dedicato al «Piano nazionale delle riforme» (Pnr). Più che alle cifre sulla «crescita» di un'economia in recessione tecnica da almeno due anni, numeri scritti sull'acqua come ad esempio l'aumento dell'1,3% del Pil nel 2014, è più interessante annotare le «riforme» che le cadreghe tecniche lasciano in eredità al prossimo governo (quando ci sarà). E che dovranno essere rispettate se l'Italia vuole mantenere il suo buon nome nel salotto europeo dell'austerità, e non essere considerata uno «stato fallito», cioé quello che è oggi. In quello che Monti ha considerato solo un «work in progress» esistono in realtà tutte le decisioni prese nel «rapporto Giarda» sulla spending review: entro il 2016 bisogna recuperare fino a 15 miliardi di spesa pubblica.

Questo significa tagliare il pubblico impiego tra i 2 e i 5 miliardi di euro e dismettere almeno 30 miliardi di immobili pubblici, pari all'1% del Pil. Sono i «famosi» 45 miliardi di euro da destinare all'ammortamento del debito sovrano che, secondo il Def, raggiungerà quest'anno il record del 130,4% e diminuirà entro il 2017 al 117%. Una quota gradita alla Troika che sorveglia l'Italia.

Le prime due fasi della spending review, si legge nel Def, garantiranno 13 miliardi di «risparmi» entro il 2015. Ma bisogna continuare, altrimenti si ritorna nel «baratro». Il Pnr stabilisce la regola d'oro che i prossimi interventi dovranno rispettare: prime vengono le città metropolitane, poi il taglio delle provincie che il governo non è riuscito ad imporre - nonostante la retorica del «fate presto!» alla «strana» ex maggioranza Pd-Pdl-Udc che ha sorretto le stanche membra dei tecnici. In realtà è una goccia nell'oceano dell'austerità: la loro riduzione da 86 a 51 comporterà tra i 370 e i 535 milioni di euro di risparmio. Poi viene il piatto forte. anzi fortissimo. Bisogna tagliare su tutte le amministrazioni locali, già taglieggiate dal patto di stabilità interno. Tagliare i «rami secchi» degli enti pubblici (si preparino gli enti di ricerca, ad esempio), dei ministeri.

Si annuncia già una stretta sulla spesa per beni e servizi, ma soprattutto un taglio al pubblico impiego che, secondo l'Aran, è già diminuito di 232 mila unità dal 2007 al 2011 (Il Manifesto 10 aprile). Tra pensionamenti ordinari e in deroga, part-time, mobilità volontaria e obbligatoria di due anni (dopo c'è il licenziamento) Monti prevede di risparmiare l'1% della spesa nel 2014 per poi tornare a salire dell'1% dal 2015. Può darsi, ma senza assumere nessuno. Poi un memoir sull'Imu, già oggetto di contesa elettorale tra Monti e Berlusconi. L'avvertimento al prossimo governo è chiaro: se non sarà riconfermata la tassa sulla prima casa fino al 2017, saranno necessarie due finanziarie straordinarie da 3,3 miliardi nel 2015, 6,9 nel 2016, 10,7 nel 2017. Per rispettare l'austerità saranno necessarie nuove privatizzazioni. Inizia la terza fase della spending review.

Fonte: Il manifesto

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