di Laura Boldrini, presidente della Camera dei Deputati

 

Oggi alla Camera dei depu­tati faremo gli auguri a Pie­tro Ingrao che ha appena com­piuto 100 anni. Lo faremo a par­tire da una domanda incal­zante e attuale come non mai: «Per­ché la poli­tica». Tutta la sua vicenda, poli­tica e per­so­nale, sem­bra costruita appo­sta per rispon­dere a que­sto que­sito, con la ricerca mai inter­rotta sul ruolo dei par­titi e delle isti­tu­zioni rap­pre­sen­ta­tive, sulle forme della par­te­ci­pa­zione, sull’obiettivo di attuare com­piu­ta­mente la Costituzione.

Una ricerca alla quale Ingrao ha poi dato una pro­ie­zione con­creta negli anni in cui ha svolto il ruolo di Pre­si­dente della Camera.

Ingrao è stato un grande Pre­si­dente. Eppure lo ha fatto per soli tre anni, dal 1976 al 1979, quando chiese di non essere ripro­po­sto per quell’incarico, pur di fronte alle ener­gi­che insi­stenze dei diri­genti del Pci.

Ma nono­stante un tempo così breve ha lasciato un segno pro­fondo, per­ché alla sua Pre­si­denza aveva dato una mis­sione poli­tica: quella di pen­sare in forme del tutto nuove la cen­tra­lità del Par­la­mento. Non signi­fi­cava l’astratta pre­tesa di un pri­mato, né una sup­po­nente auto­re­fe­ren­zia­lità dell’istituzione.

Al con­tra­rio, il Par­la­mento avrebbe acqui­sito un ruolo cen­trale sol­tanto apren­dosi all’esterno, alle spinte e alle tur­bo­lenze che veni­vano dalla società, e col­le­gan­dosi all’esperienza delle assem­blee elet­tive regio­nali, pro­vin­ciali e comu­nali. Il Par­la­mento, dun­que, come cuore pul­sante della vita poli­tica, al cen­tro di una più vasta rete di orga­ni­smi rap­pre­sen­ta­tivi e di espe­rienze di partecipazione.

Ingrao era uomo orgo­glio­sa­mente di parte, ma non ha mai ceduto al set­ta­ri­smo. Nei con­fronti di chi aveva opi­nioni diverse dalle sue, per­fino dei suoi avver­sari, mani­fe­stava non solo rispetto, ma curio­sità e voglia di con­fron­tarsi. E apprez­zava il lavoro par­la­men­tare pro­prio per­ché in quella sede tro­vava una occa­sione pri­vi­le­giata per cer­care il nucleo di verità che c’è nelle posi­zioni altrui e discu­tere a viso aperto.

Anche per que­sto Ingrao gode di una stima gene­rale ed è cir­con­dato da grande affetto.

Sen­ti­menti resi ancora più forti da un’altra qua­lità che tutti gli hanno sem­pre rico­no­sciuto: l’onestà, il rigore morale, la sem­pli­cità del suo stile di vita. Qua­lità che non dovreb­bero essere rare, ma che lo diven­tano quando la poli­tica si riduce a car­rie­ri­smo, a lotta cinica e spre­giu­di­cata per accre­scere il pro­prio potere personale.

Per­sone come lui danno alla poli­tica il suo volto migliore, quello che mette davanti ad ogni altra con­si­de­ra­zione ed ambi­zione le idee, i valori, le visioni del mondo.

Per Pie­tro Ingrao uno dei rife­ri­menti essen­ziali è stata indub­bia­mente la Costi­tu­zione. Non la viveva come testo sacro e immo­di­fi­ca­bile. Ragionò infatti a lungo sui neces­sari cam­bia­menti dell’assetto isti­tu­zio­nale italiano.

Ma voleva che si tenesse fede alla sua ispi­ra­zione di fondo e che venisse presa sul serio. Come quando, di fronte alla guerra dei Bal­cani o all’invasione dell’Iraq, chie­deva il rispetto inte­grale dell’articolo 11. Quell’articolo, scri­veva, «san­ci­sce il ripu­dio della guerra. E’ vivo o morto quell’articolo? E’ solo una frase distratta per le anime belle o è un impe­gno cru­ciale ? A seconda di come si risponde a que­sta domanda la Costi­tu­zione si pre­senta come un vin­colo reale o invece come un mero gioco di frasi per ingan­nare gli sciocchi».

Il ripu­dio della guerra è un ele­mento costi­tu­tivo del pen­siero e dell’azione di Ingrao. Su que­sto punto pro­nun­ciò parole chiare, ad esem­pio, quando nel 2002 a Bar­cel­lona gli venne con­fe­rita la lau­rea ad hono­rem. Ricordò, in quell’occasione, che furono pro­prio la guerra di Spa­gna del 1936 e le mace­rie di Guer­nica che lo spin­sero alla scelta antifascista.

E aggiunse: «C’è qual­cosa che mi spa­venta. C’è il fatto amaro che nei nostri paesi il senso comune non si allarma. Non trema più. Dob­biamo dirla que­sta verità amara. Sfo­gliate i libri, por­gete l’orecchio alle parole dei gover­nanti. Scor­rete le pagine dei dibat­titi par­la­men­tari. Tro­ve­rete che è spa­rita la parola disarmo. Non l’usa più nes­suno. E’ in que­sto senso largo e agghiac­ciante che io parlo di nor­ma­liz­za­zione della guerra. S’è lique­fatto lo spa­vento, l’orrore che scosse la mia gene­ra­zione e – in quel mag­gio del ’45 – ci fece giu­rare che mai più sarebbe tor­nato il mas­sa­cro». Sono pas­sati quasi settant’anni da quel mag­gio, e il mondo è costel­lato di guerre, di vio­lenze, di terrore.

Anche la lezione paci­fi­sta di Pie­tro Ingrao suona adesso più attuale che mai. Rico­no­scerlo è il modo migliore per far­gli i nostri auguri.

 

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