Andrea Colombo

Mat­teo Renzi esce dal primo tempo della par­tita sul dl lavoro in van­tag­gio, gra­zie alla fidu­cia che verrà votata oggi pome­rig­gio alla Camera, ma ammac­cato, e con la pro­spet­tiva di un secondo tempo, quello che si gio­cherà al Senato entro il 19 mag­gio, ancora più duro.
Ieri, intorno all’ora di pranzo, il governo ha azzar­dato l’ultimo ten­ta­tivo di rag­giun­gere un accordo di mag­gio­ranza che evi­tasse l’onta dell’ennesima fidu­cia, con tutto quel che que­sta com­porta in ter­mini di imma­gine nega­tiva. A quel punto l’ala destra della mag­gio­ranza, Nuovo cen­tro­de­stra e Scelta civica, aveva già fatto rul­lare per ore i tam­buri di guerra. Dichia­ra­zioni sem­pre più incan­de­scenti: prima il corale impe­gno a votare con­tro il prov­ve­di­mento senza la can­cel­la­zione delle modi­fi­che appor­tate dalla com­mis­sione lavoro della Camera, poi, addi­rit­tura, la minac­cia di non votarlo nep­pure con la fidu­cia. Inu­tile anche l’assist del mini­stro dell’economia Pier­carlo Padoan: «Il dl farà cre­scere l’occupazione». Il ver­tice di mag­gio­ranza con i mini­stri Poletti e Boschi è stato quindi con­vo­cato in fretta e furia ma le posi­zioni, com­plice la tem­pe­rie pre-elettorale, si erano già troppo irri­gi­dite per evi­tare la lace­ra­zione.

Il mini­stro del lavoro Giu­liano Poletti ci ha pro­vato lo stesso. Ha squa­der­nato una pro­po­sta di media­zione in tre punti: deru­bri­ca­zione dall’obbligo di assun­zione a una multa della san­zione per le aziende che impie­gano più del 20% dei dipen­denti con con­tratti a tempo deter­mi­nato, o pre­cari che dir si voglia; pos­si­bi­lità per le aziende di sce­gliere tra for­ma­zione pub­blica o azien­dale e garan­zia che non ci sareb­bero state ulte­riori modi­fi­che al Senato. Non erano con­ces­sioni pic­cole: le aziende, in cam­bio di una «tan­gente» pagata allo Stato, par­don di «una san­zione pecu­nia­ria», avreb­bero potuto assu­mere quasi solo pre­cari.

Il Pd, inclusa la sua mino­ranza gui­data dal pre­si­dente della com­mis­sione lavoro Cesare Damiano, ha accet­tato la pro­po­sta, chie­dendo come con­tro­par­tita di abbas­sare il tetto dei rin­novi di con­tratto pos­si­bili nell’arco di 36 mesi, por­tan­doli a 4. Il testo ori­gi­na­rio del governo ne pre­ve­deva 8, la com­mis­sione lavoro di Mon­te­ci­to­rio li aveva già ridotti a 5. A que­sto punto è stato l’Ncd di Ange­lino Alfano a pun­tare i piedi rifiu­tando la media­zione. Ha garan­tito, come anche Scelta civica, il voto di fidu­cia, pro­met­tendo però di «dare bat­ta­glia» al Senato.
Nel con­tempo, Pd e Ncd si accu­sa­vano reci­pro­ca­mente di aver fatto fal­lire la media­zione, Forza Ita­lia mitra­gliava il governo affer­mando, con Renato Bru­netta, che il mede­simo «non ha più una mag­gio­ranza» e, con Mau­ri­zio Gasparri, di «aver votato il testo della Cgil». Poletti ha fatto il pos­si­bile per get­tare acqua sul fuoco: «Le distanze sul merito sono limi­tate. Resto con­vinto della neces­sità asso­luta di con­ver­tire celer­mente il decreto».

A fre­garsi le mani è soprat­tutto il Movi­mento 5 Stelle. In aper­tura di seduta aveva chie­sto di riman­dare il decreto in com­mis­sione, il che avrebbe com­por­tato la sua pro­ba­bile deca­denza. La pro­po­sta non è pas­sata per soli 22 voti, dun­que gra­zie alle assenze nelle file di Forza Ita­lia e della Lega. Così il gril­lino Di Maio ha avuto buon gioco nell’affermare che «se non ci fosse il M5S il governo, oltre a non avere una mag­gio­ranza come dice Bru­netta non avrebbe nem­meno un’opposizione». Al Senato , i pen­ta­stel­lati pro­met­tono «un Viet­nam»: faranno il pos­si­bile per dar seguito alla pro­messa, tanto più che il voto arri­verà quasi a ridosso delle ele­zioni.
Nel merito dell’approvazione del dl, il governo rischia pochis­simo. Gli stessi alfa­niani, che in pub­blico si abban­do­nano a dichia­ra­zioni rug­genti, in pri­vato ammet­tono che «il governo non può certo cadere sul dl lavoro». In un modo o nell’altro il decreto sarà dun­que con­ver­tito, anche se non è affatto escluso che la pres­sione dei cen­tri­sti rie­sca a otte­nere alcuni peg­gio­ra­menti, come se non bastasse la spinta alla pre­ca­riz­za­zione già vei­co­lata del testo. In ogni caso, chie­de­ranno in cam­bio del loro sema­foro verde con­tro­par­tite sul fronte delle tra­bal­lanti riforme isti­tu­zio­nali ed elet­to­rale.

Il danno d’immagine però è inne­ga­bile, anche se Mat­teo Renzi fa il pos­si­bile per vol­gere la situa­zione a pro­prio van­tag­gio: «Ci si divide su det­ta­gli a cui la gente nor­male è aller­gica. Posso capire l’esigenza di farsi pro­pa­ganda elet­to­rale, ma per noi, di fronte all’emergenza di chi non ha lavoro, l’importante è solo fare presto».

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