di Isabella Rossi

Da New York a Solomeo. Ieri sera è stata protagonista la Rioult Dance New York, storica compagnia statunitense che prende il nome dal suo fondatore, il coreografo Pascal Rioult, anche lui presente e acclamato, insieme ai suoi ballerini, dal pubblico del Cucinelli. In quasi due ore di spettacolo, quattro le creazioni presentate - Duets sacred & profane, Wien, Polymorphous e Views of the fleeting world - che coprono un arco temporale di almeno venti anni. In tutte, la modern dance è inusualmente declinata alla classicità che orienta, ispira e sfida "la modernità" fino ad inglobarla in una sorta di rivincita morale. Dalla classicità musicale sotto il segno di Bach (L'arte della fuga e una selezione di preludi e fughe da "Il clavicembalo ben temperato"). A quella estetica, negli effetti che esaltano, in volumi, forme e colori, quella fisicità piena e prorompente dei corpi (maschili), contrapponendola alla fisicità nervosa, cifra del contemporaneo. Nonostante lo stile moderno nel linguaggio coreografico, eredità della lezione di Martha Graham - ad esempio neI salti e negli impulsivi cambi di direzione, nella gestualità convulsa che esplode improvvisa - il ritorno al classico è soprattutto vittoria dell'ordine sul caos. È un classico "morale" e puritano, in Wien, quello che contrappone alle frivole atmosfere del valzer viennese, la sobria irrequietezza dei personaggi di un villaggio americano, probabilmente ostaggio dell'austerity.  È un classico ideale - ma nostalgico - quello che ispira le creazioni plasmate dalle perfette simmetrie della musica barocca. Dove, come nei preziosi carillon antichi, a scansioni precise e nei modi richiesti, ogni cosa trova il suo posto. Senza scissioni interne, né inutili introspezioni, nella massima chiarezza dei ruoli. 

Condividi