di Leonardo Caponi.

A proposito della fine (mi dispiace molto chiamarla così) di Rifondazione comunista e dei motivi che l'hanno causata, sui quali vengono introdotti elementi di discussione soprattutto ad opera del Segretario Oscar Monaco, voglio dire la mia. Mentre Monaco ama sostenere che l'inizio della fine è cominciato con la scarsa attenzione ai nuovi movimenti, io credo l'esatto contrario. Penso che essa era scritta nella totale bertinottizzazione del partito e, proprio, in quella cultura cattomovimentista, radicalestremista e anticomunista che è esistita fin dall'inizio dentro Rifondazione e alla quale egli ha totalmente riconvertito il partito. Quando parlo di anticomunismo parlo di anti Pci, partito che Bertinotti ha sempre fieramente odiato, ma mi pare che i due termini, in Italia, siano equivalenti.

C'è naturalmente una responsabilità anche della filiazione del Prc rappresentata dai Comunisti Italiani, ma mi pare che si tratti di cosa diversa della quale parlerò in un successivo twitter. Per coloro ai quali può interessare vorrei fare alcuni cenni e rifarmi a curiosità storiche. La prima volta che Armando Cossutta propose, o meglio, comunicò la decisione di eleggere Fausto Bertinotti (che inizialmente aveva condiviso la svolta della Bolognina) a Segretario del PRC, fu in una riunione, ai Beni Spagnoli, a Guido Cappelloni, Oliviero Diliberto e il sottoscritto, che fungevamo da coordinamento della corrente. All'adesione entusiastica (tipica del suo servilismo al capo) di Diliberto, furono avanzate riflessioni e timide perplessità da Guido e da me, ma la riunione si concluse in modo sostanzialmente convinto. Cossutta volle chiamare Bertinotti in funzione anti Magri, del quale stimava le qualità e la statura politica e temeva l'influenza che avrebbe potuto avere nel partito. Farsi segretario (come era stato con Garavini) per il vecchio leader sarebbe stato impossibile (e qui ebbe una chiara visione, per via delle accuse di reduci, nostalgici e filosovietici) . Cossutta pensava che proponendolo lui e con un patto tra i due, Bertinotti sarebbe stato "controllabile". L'inciampo di Cossutta fu che egli fece il calcolo di lasciare la politica a Bertinotti, tenendo in pugno la gestione del partito. Errore fatale. Il prestigio di Bertinotti sale, questi cerca di liberarsi della tutela del suo mentore. La rottura tra i due avviene anche per una "gelosia" di Cossutta verso Bertinotti e, naturalmente per motivi soprattutto politici (Prodi si, Prodi no) che sottintendevano una differenza ideologica, mai estinta. Qui l'errore è di Bertinotti e dei suoi successori i quali progressivamente abbandonano l'interlocuzione e la pratica con le classi e i ceti tradizionali di riferimento (gli operai e le classi subalterne in genere), oscurano il conflitto capitale lavoro e assumono come interlocutori, enfatizzati oltre misura e realtà, altri soggetti (altermondisti, pacifisti - in un intreccio col millenarismo cattolico - ambientalisti, diversi, movimenti e culture d'elite, spesso estremisti, lontani mille miglia dalla sensibilità popolare. Bisogna ammettere che, in realtà, pur avendo presenze radicate e irriducibili nella fabbriche, Rifondazione non è mai stato un partito operaio. Il corpo dei militanti e i dirigenti sono intellettuali, insegnanti, dipendenti pubblici e una piccola borghesia radicalizzata. Ma, da molti anni, Rifondazione si è mossa in un mondo surreale inseguendo o immedesimandosi in movimenti, per carità generosi e con esplosioni potenti, ma durevoli lo spazio di un mattino in quanto inerti al conflitto capitale lavoro e alla trasformazione del modello sociale. A mio giudizio questo disegno non ha futuro.

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