di Arm.Alle.

PERUGIA - Ad un giorno dall’arrivo a casa, Raffaele Sollecito, incuriosito dalla “nuova vita” e protetto nella sua villetta di Risceglie parla (tramite il padre) della fine del suo incubo giudiziario.

“Sono stanco – ha detto al padre - ho voglia di stare da solo, di essere lasciato tranquillo”. Stato d’animo incerto che lascia spazio anche alla rabbia, una rabbia che trapela, a tratti, nelle lunghe conversazioni con il padre anche quando riferisce il perché la notte del primo interrogatorio non ha chiamato l’avvocato.
“Avevo davanti la polizia e non potevo immaginare che non stesse lì anche per tutelare me come mi ha sempre insegnato mio padre. Non potevo certo immaginare che la polizia invece che salvaguardare i cittadini potesse esercitare azioni violente e coercitive”. Parole dure che riportano Raffaele, come dice il padre, ad un “interrogatorio particolarmente energico, in condizioni di disagio fisico e psicologico”. “Gli vennero anche tolte le scarpe” – dice - e non voglio aggiungere altro”.

E via con un atto d’accusa: “ci sarà il tempo anche per questo” e su un’eventuale richiesta di risarcimento dice: “Sono discorsi prematuri”. In merito alle contestazioni della città che gridava “Vergogna, vergogna” e ai fischi della gente che fuori dal Tribunale manifestava il suo dissenso al verdetto di assoluzione, i commenti sono stati: “c’è sempre qualcuno che la pensa diversamente, ma io invito tutti a leggere gli atti dove è scritta l’innocenza di mio figlio”.

 

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