"Quel 'finalmente' che mi sentii di dire quel giorno, mentre mi levavo per l'ultima volta gli scarpini, era riferito a tutto il dolore fisico, una vera tortura che ha accompagnato la mia vita da calciatore. Quando giocavo nel Brescia, io, finita la partita, per due giorni faticavo a camminare, non riuscivo a scendere dall'auto, dovevo prima far uscire una gamba, appoggiarmi alla portiera e poi tirarmi su. E la domenica successiva, però, giocavo. Avevo dato tutto anche dal punto di vista personale. Mi sentivo felice e realizzato e l'affetto del pubblico di San Siro, quando smisi in campionato, e di Genova, quando finii con la Nazionale, mi ripagarono di tutto. Tutto cominciò nel 1985, a Rimini. Lasciai su quel campo menisco e crociato e i medici dicevano che era molto difficile che tornassi a giocare a calcio. Ho avuto sei operazioni al ginocchio, quattro al destro e due al sinistro. Erano anni in cui il menisco era una cosa drammatica, ora si fa quasi di routine. Io ho avuto interventi molto pesanti, molto invasivi. Ogni volta precipitavo in un tunnel, ma non ho mai rinunciato a cercare la luce per uscirne. Arrendermi? Se dicessi che non ci ho mai pensato sarei un bugiardo. Ci sono stati momenti bui, molto bui, ma ogni volta alla fine reagivo. Il calcio è stata la mia passione di sempre. Immaginavo di giocare la finale di un Mondiale con il Brasile. Sono uno di quegli uomini fortunati, che può dire di aver realizzato un sogno. Ho sofferto tanto, ho stretto i denti, ho pianto e ho avuto paura. Ma poi quel giorno è arrivato. Il rapporto con gli allenatori? La verità è che io ho sempre avuto un rapporto meraviglioso con i tifosi, questo dava fastidio, erano altri tempi. Allora bastava far uscire una notizia per rovinare l'immagine di un calciatore. Io ero uno che non amava apparire e parlare, non era arroganza, era umiltà. A Usa '94, quando Sacchi mi sostituì, dopo l'espulsione di Pagliuca nella gara con la Norvegia, ero molto deluso. Chi ama il calcio vuole giocare, non guardare. Però alla fine ci ho pensato tante volte e ho concluso che Sacchi fece quello che era giusto fare, tatticamente. D'istinto mi sembrò incredibile, ma siamo dotati anche della ragione e non solo dell'istinto. La finale di quel Mondiale fu un'altra grande delusione. Sbagliai il rigore, sono stato io a mandare in tribuna la fine felice del mio sogno, che in quel momento era quello di tutti gli italiani. Mi dispiace ancora oggi. Il momento più bello? Forse non c'è. Gli infortuni mi hanno insegnato che ogni momento felice può essere seguito dal suo azzeramento totale".
(Roberto Baggio, da un'intervista del settembre 2015 al
Corriere dello Sport
)
tratto dalla pagina facebook troppo azzurro

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