di Elio Clero Bertoldi

PERUGIA - Massimiliano Santopadre, con l'ultimo comunicato, ha riconosciuto la propria sconfitta. Il proprio fallimento. 
Nella sua analisi e rivendicazione di quanto ha fatto, a suo giudizio, nella sua esperienza alla guida del club biancorosso, ha del tutto tralasciato il rapporto con Perugia e con i perugini (meglio: gli umbri in generale). Ha solo citato gli eventi felici e quelli sfortunati, sbandierato cifre e accampato giustificazioni. Come se il Perugia fosse una pure e semplice impresa commerciale o industriale. 
Il suo flop, a ben vedere, prima ancora che tecnico, si è rivelato umano. 
Avesse letto "Il Principe" di Niccolò Machiavelli, non avrebbe commesso gli errori inanellati in questi anni. Il segretario fiorentino, nell'argomentare che conquistare uno Stato può rivelarsi facile, mentre il difficile è mantenerlo, indica pure il modo di come riuscire in questa più impegnativa impresa.
Il primo passo, soprattutto se si viene da fuori, è che bisogna abitare la città, viverla, conoscere gli abitanti e le loro aspettative, entrare in comunità di intenti. Cosa che lui non ha fatto. Nonostante i suggerimenti che pure gli sono arrivati, nel tempo. Non si è mai integrato nella comunità ed è rimasto, pertanto, un corpo estraneo. Non si è mai sforzato di raggiungere un "feeling" accettabile con la realtà perugina. Quando le cose vanno nel verso favorevole, tutto scorre facilmente. Ma quando prendono una brutta piega, rischiano di far precipitare tutto nel caos, nella contestazione. E questo, nella fattispecie, si è registrato.
Secondo: non ha saputo scegliere i collaboratori e non è riuscito a mantenere quelli buoni, che pure sono passati per la sede di Pian di Massiano. Ha temuto che gli potessero dare ombra o ha pensato di poter fare lui stesso, senza problemi, il loro lavoro. Mancanza di saggezza, questa e di lungimiranza. 
Terzo: Machiavelli sostiene che per restare saldo al timone di uno Stato servono anche le milizie cittadine, non i mercenari (che per loro natura si mostrano forti in pace e vili in guerra). Fuor di metafora: Santopadre avrebbe dovuto sfruttare meglio il settore giovanile, che lo avrebbe legato maggiormente alla città ed alla regione. Troppo rari, nelle sue "rose" i perugini e gli umbri. Inoltre, invece, che far pagare le famiglie per l'iscrizione di un ragazzino alla scuola calcio, avrebbe dovuto concedere loro libero accesso. In questo modo avrebbe tenuto legati a sé i calciatori in erba e le loro famiglie. Per concludere: per smania di entrate (denari nelle casse societarie), non è riuscito a farsi amare o, quanto meno, rispettare.
Se le due retrocessioni in tre anni si fossero collocate in un quadro di "unione" e di "affetto" tra le parti, nessuno (o pochi) gli avrebbero voltato le spalle nei momenti di disgrazia. Ha ignorato, Santopadre, i diversi segnali che da tempo indicavano crepe e ruggini, tra lui e l'ambiente.
Ora Santopadre si dice pronto a cedere il potere (cioè a vendere). Ma non sarà affatto facile trovare acquirenti, adesso. Al di là delle richieste economiche, che diversi ritengono esose, anche alla luce della dolorosa retrocessione. 
Almeno fino a quando sul Perugia penderà la spada di Damocle dell'inchiesta della procura federale sul presunto "illecito sportivo", chi si potrà permettere di comprare un club con il rischio di una seconda retrocessione, decretata a tavolino?

Condividi