di Antonio Sciotto

La Com­mis­sione Lavoro del Senato ha appro­vato la delega lavoro: il Jobs Act modi­fi­cato dall’emendamento sul con­tratto a tempo inde­ter­mi­nato a tutele cre­scenti così si avvia verso l’Aula, dove verrà votato mar­tedì pros­simo. Mau­ri­zio Sac­coni, Ncd e pre­si­dente della Com­mis­sione, parla di «gior­nata sto­rica». Secondo l’ex mini­stro del Lavoro del governo Ber­lu­sconi, infatti, ieri è defunto l’articolo 18. Il Pd invece resta diviso, a tratti nel caos, ma il dorso con­vin­ta­mente ren­ziano che lo guida è già pronto a festeg­giare con Sac­coni e Pie­tro Ichino.

Tutti gli 8 com­po­nenti Pd della Com­mis­sione del Senato hanno votato sì alla delega, men­tre Sel e M5S si sono alzati al momento del voto, e Forza Ita­lia si è aste­nuta. Per quanto riguarda il Pd, c’è solo da spe­rare nella Camera, e nel pres­sing inin­ter­rotto di alcuni espo­nenti cri­tici. Ieri Mat­teo Orfini, pre­si­dente dell’assemblea nazio­nale del par­tito, ha par­lato della «neces­sità di cor­re­zioni impor­tanti al testo», men­tre l’ex segre­ta­rio Pier­luigi Ber­sani ha citato «inten­zioni sur­reali» che avrebbe visto nell’azione del governo.

Ma soprat­tutto resta agguer­rito Cesare Damiano, pre­si­dente della Com­mis­sione Lavoro della Camera: luogo dove il Jobs Act è atteso una volta licen­ziato dal Senato. In una inter­vi­sta al Sole 24 Ore, ieri ha notato che que­sta volta l’iter delle tre let­ture si con­clu­derà al Senato («al con­tra­rio di quanto è avve­nuto con il decreto Poletti»), e che quindi se si vorrà «stare nei tempi sta­bi­liti», ovvero entro fine otto­bre, il Senato dovrà «rati­fi­care le modi­fi­che che pro­por­remo alla Camera».

Damiano intende intro­durre cam­bia­menti su «deman­sio­na­mento e video­sor­ve­glianza», ma anche «sull’articolo 19 dello Sta­tuto, sulla rap­pre­sen­tanza». Sul nodo chiave, quello dell’articolo 18, per ora pre­fe­ri­sce non dichia­rare se pre­sen­terà emen­da­menti o meno, per­ché prima vuole «che sia defi­nita la posi­zione del Pd»: nella dire­zione del 29 set­tem­bre, ma pure attra­verso una riu­nione ad hoc di tutti i par­la­men­tari Pd con il governo, che ha richie­sto pro­prio ieri con una nota.

Se il Senato non dovesse rati­fi­care le modi­fi­che della Camera, «potrebbe avviarsi un ping pong», spiega Damiano, che mol­ti­pli­che­rebbe i pas­saggi, allun­gando i tempi. Certo, dall’altro lato il pre­mier avrebbe sem­pre pronta la carta, già minac­ciata e per ora tenuta in caldo, del decreto d’urgenza: Renzi ha già chia­rito che nel suo pro­getto il Jobs Act deve essere appro­vato entro la fine di otto­bre, per arri­vare entro marzo ai decreti dele­gati. Che, va ricor­dato, pre­ve­dono solo un pas­sag­gio con­sul­tivo alle com­mis­sioni com­pe­tenti, e nes­sun voto in Aula.

Non è detto però che gli “scon­tenti” del Pd saranno dispo­sti ad accet­tare il diktat della mag­gio­ranza, quando si sarà fatto un punto alla dire­zione del 29: potreb­bero pro­ce­dere, in sede di voto par­la­men­tare, a titolo per­so­nale. «Cia­scuno di noi valu­terà come com­por­tarsi, come è già avve­nuto con la legge elet­to­rale – ha con­cluso il pre­si­dente della Com­mis­sione Lavoro – È in gioco il patri­mo­nio di valori della sini­stra». Ma potreb­bero essere solo gene­rose testi­mo­nianze di ban­diera, tanto più vista la spre­giu­di­ca­tezza del capo del governo nel cer­care il soste­gno di Forza Ita­lia, quando serve.

Ieri comun­que dallo staff di Renzi si è fatto sapere che all’ultimo incon­tro con Ber­lu­sconi, in effetti lea­der di Fi avrebbe offerto il suo soste­gno, rifiu­tato però dal pre­mier. Ma ogni giorno ha il suo affanno, e si sa che Renzi pre­fe­ri­rebbe optare per la solu­zione Sacconi/Ichino, che eli­mina il reintegro.

Alcuni espo­nenti del Pd hanno già chia­rito la pro­pria posi­zione, andando oltre l’ambiguità della for­mula della delega, che lascia aperte entrambe le pos­si­bi­lità: man­te­nere il rein­te­gro, o sosti­tuirlo con un risar­ci­mento. Ales­san­dra Moretti, dall’europarlamento, invita il Paese a «far­sene una ragione: l’articolo 18 è stato supe­rato dalla realtà». E pro­pone uno scam­bio: «Ammor­tiz­za­tori sociali e tutele cre­scenti, in cam­bio del reintegro».

La bat­ta­glia, a que­sto punto, sarà sull’interpretazione della for­mula ambi­gua della delega. Anzi, a rigore, poi­ché il testo non intro­duce un nuovo con­tratto di inse­ri­mento a tutele cre­scenti, idea ori­gi­na­ria del Pd, ma un «con­tratto inde­ter­mi­nato a tutele cre­scenti» (che quindi sosti­tui­sce quello attuale), potrebbe aver ragione il duo Sacconi/Ichino, visto che in effetti non si cita mai il reintegro.

Sac­coni infatti ieri dichia­rava, in sici­liano, al Cor­sera: «Comu fini­sci, si cunta, se ne riparla quando tutto sarà finito. Io festeg­gio già ora, altri non mi pare lo facciano».

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