di Dino Greco

Grillo continua ad atteggiarsi (con più nervosismo, ma con uguale arroganza) a padrone del M5S, a depositario di un potere assoluto che, tuttavia, i “cittadini” approdati al parlamento non accettano più. Anche perché la caduta verticale di consensi scuote fortemente quel senso di onnipotenza che il nuovo re Mida aveva suscitato intorno alla propria figura carismatica. Da qualche tempo, quel che tocca non si trasforma più in oro e la contestazione interna, prima contenuta e mascherata dalla strepitosa crescita elettorale, si fa ora più esplicita e audace. E’ trascorsa solo una manciata di settimane dalle elezioni politiche, ma l’urlo risuonato da una piazza d’Italia all’altra, quel lapidario“tutti a casa”, gli si è strozzato in gola. Il capitale politico accumulato in un batter di ciglio si sta riducendo con la stessa rapidità e non c’è alchimia retorica che possa nascondere le evidenti ragioni che stanno provocando un così impetuoso riflusso.

Esse risiedono, innanzitutto, nell’incapacità del M5S di giocare un ruolo propositivo, nel rifiuto di investire la propria ingente rappresentanza parlamentare in una strategia da realizzare qui ed ora, nella inquietante (e quanto illusoria) pretesa totalitaria di conquistare “prima” tutto il potere, speculando sull’implosione delle forze politiche, data per inevitabile.

Grillo ha promesso il lavacro dei partiti al potere, ma non ha fatto nulla perché le contraddizioni in essi presenti esplodessero davvero, riducendo la sua invettiva ad una profezia priva di gambe. Per inverarla occorreva darsi un progetto politico vero, non un abborracciato sincretismo culturale, condito con una babilonia di linguaggi e di intenzioni che convivono confusamente nel calderone grillino.

Dalle piazze al parlamento è come se non fosse accaduto nulla. E invece, coloro che il movimento ha in qualche modo selezionato, eletto e ai quali ha affidato un mandato, ora vogliono emanciparsi dall’Egoarca che pretende di dettare loro anche il ritmo del respiro.

Una questione democratica è ormai aperta. E non basteranno grida, minacce, anatemi, espulsioni decretate ex-cathedra a frenare la ribellione. Anche l’appello alla rete, simulacro di democrazia brandito da Grillo come una clava contro il dissenso interno, finirà per rivoltarglisi contro.

La sindrome paranoica del monarca che non si fida più di nessuno, che agita il più frusto degli slogan autoritari (“Chi non è con me è contro di me”), che risolve la dialettica interna con sanzioni amministrative (perché “epurandosi ci si migliora”), che si circonda di una castina di mediocri ma obbedienti replicanti, è la spia di una crisi profonda, verosimilmente irreversibile. Ed è un peccato, perché dentro quel magmatico e immaturo movimento, si trovano energie, intenzionalità sane e un vero potenziale di cambiamento.

Perché le promesse del M5S non si inabissino del tutto servirebbe una rivoluzione democratica nelle sue file, che affranchi il movimento dalla tutela dittatoriale del suo fondatore. Devono “uccidere il padre”, se vogliono crescere. A cominciare – considerato che una fase costituente dal basso non c’è mai stata – dai gruppi parlamentari, che rappresentano l’embrione di un gruppo dirigente in divenire. Se questo non accadrà, la stagione del comico si concluderà là dove è iniziata e le speranze genuinamente coltivate da tanti giovani si trasformeranno in una nuova cocente delusione.

Fonte: liberazione.it

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