di Antonio Sciotto

 

L’arretratezza si riflette sulla condizione delle famiglie meridionali: una su quattro è povera. Record di giovani «neet», nonostante la spesa per l’istruzione sia più alta che al Centro-Nord.
Non che non lo sapessimo, che il nostro Mezzogiorno stesse messo piuttosto male: ma insomma, sentire le cifre snocciolate dal Censis è stato comunque un bel pugno sullo stomaco. E la crisi ha allargato, continua costantemente ad ampliare, il divario con il Nord e il Centro Italia. Tanto che ormai i redditi del Sud risultano più bassi (di 497 euro) rispetto a quelli della già inguaiatissima Grecia.
Tra il 2007 e il 2012, rileva l’istituto guidato da Giuseppe De Rita, nel Sud il Pil si è ridotto del 10% in termini reali a fronte di una flessione del 5,7% registrata nel Centro-Nord. Quindi un taglio della crescita quasi doppio. I dati sono contenuti nel rapporto «La crisi sociale del Mezzogiorno», presentato ieri a Roma dal presidente De Rita e da Giuseppe Roma, direttore generale del Censis.

 

Nel 2007 il Pil italiano era pari a 1.680 miliardi di euro, mentre cinque anni dopo si era ridotto a 1.567 miliardi. Nella crisi abbiamo perso quindi ben 113 miliardi di euro, molto più dell’intero Pil dell’Ungheria, un paese di quasi 9 milioni di abitanti. Di questi 113 miliardi, 72 si sono persi al Centro-Nord e 41 miliardi (pari al 36%) nel solo Sud. Ma la recessione attuale è solo l’ultimo tassello di una serie di criticità che si sono stratificate nel tempo, insomma che precedono di decenni – potremmo dire – la crisi globale iniziata nel 2007. «Piani di governo poco chiari, una burocrazia lenta nella gestione delle risorse pubbliche, infrastrutture scarsamente competitive, una limitata apertura ai mercati esteri e un forte razionamento del credito hanno indebolito il sistema-Mezzogiorno fino quasi a spezzarlo», spiegano gli analisti del Censis.

 

Ma non basta: nel confronto con i grandi sistemi dell’euro zona, l’Italia è il Paese con le più rilevanti diseguaglianze territoriali. Il Centro-Nord può contare infatti su 31.124 euro di Pil per abitante, avvicinandosi così vicino ai valori dei paesi più ricchi come la Germania, dove il Pil pro-capite è di 31.703 euro. Mentre se andiamo nel Sud, improvvisamente il termine di paragone diventano gli ultimi d’Europa. I livelli di reddito del Mezzogiorno sono infatti addirittura inferiori a quelli della Grecia: 17.957 euro a fronte dei 18.454 ellenici. Quasi 500 euro in meno, come detto.
Ancora: dei 505 mila posti di lavoro persi in Italia dall’inizio della crisi, tra il 2008 e il 2012, il 60% ha riguardato il Sud (più di 300 mila).

 

Un’arretratezza economica cronica che si riflette sulla condizione sociale delle famiglie meridionali: il 26% dei nuclei residenti nel Mezzogiorno (cioè oltre un quarto del totale) è materialmente povero, a fronte di una media nazionale ben più bassa, pari al 15,7% («soltanto» un sesto, in pratica). Famiglie materialmente povere, spiega l’istituto, significa «con difficoltà oggettive ad affrontare spese essenziali, o impossibilitate a sostenerle per mancanza di denaro». Ancora, nel Sud sono «a rischio di povertà» 39 famiglie su 100, a fronte di una media nazionale del 24,6% (in questo caso, si estende la definizione anche a quei nuclei che, se non sono del tutto poveri, rischiano però di precipitare a breve in quella condizione).
Non va meglio guardando ai giovani: nelle regioni meridionali, i «neet», quanti cioè tra i 15 e i 29 anni non studiano, non lavorano e non si formano, sono il 31,9%: un’incidenza decisamente superiore alla media nazionale, che si attesta al 22,7%. Peggio ancora in Campania dove la quota sale al 35,2%, e in Sicilia dove è al 35,7%: la situazione è da «emergenza sociale», evidenzia allarmato il rapporto del Censis.

 

Queste cifre sono così gravi, nonostante la spesa pubblica per l’istruzione e la formazione nel Mezzogiorno sia molto più alta di quella destinata al resto del Paese: il 6,7% del Pil contro il 3,1% del Centro-Nord, ovvero 1.170 euro pro-capite contro 937 euro (ben il 24,9% in più). Eppure, il tasso di abbandono scolastico è del 21,2% al Sud e del 16% al Centro-Nord, i livelli di apprendimento e le competenze «peggiori».
«Il dato che preoccupa di più è quello dei neet – dice Serena Sorrentino, segretaria confederale della Cgil – Si devono rimettere al centro istruzione e occupazione». La Cisl, con il segretario confederale Luigi Sbarra, chiede al nuovo governo (quello che verrà) di «collocare le politiche per il Mezzogiorno al centro delle sue strategie di crescita».

Fonte: Il manifesto

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