La transizione ecologia rappresenta un fattore fondamentale per sviluppo dell’economia, del lavoro e dell’inversione di rotta rispetto alla crisi climatica globale. Infatti, alcuni studi diffusi in questi giorni confermano questo, e svuotano le parole di chi sostiene che “la transizione ecologica potrebbe essere un bagno di sangue”.

Il modello integrato nel rapporto del WWF “Halve Humanity’s Footprint on Nature to Safeguard our Future” illustra che veicolando verso l’economia verde una sola delle annualità di 500 miliardi di dollari che i governi assegnano ai Sussidi Ambientalmente Dannosi (per esempio in Italia nel 2018 19,7 miliardi di euro sono stati investiti in SAD) sarebbe possibile generare 39 milioni di nuovi posti lavoro. Questa svolta permetterebbe di passare a un’economia più giusta verso la natura e modificare gli attuali modelli di produzione e consumo non più a lungo sostenibili.

Grazie proprio a un’economia nature positive, secondo le previsioni rilasciate nel 2020 dal Future of Nature and Business Report del World Economic Forum, si potrebbero rendere reali circa 395 milioni di posti di lavoro entro il 2030.

Inoltre, secondo recentissimi studi nei prossimi decenni si andrebbe sempre più assottigliando il numero di persone impiegate nell’industria fossile e nucleare, in molti casi con mansioni che riguarderebbero prevalentemente la disattivazione e lo smantellamento di impianti obsoleti (e di vecchia generazione) sostituite da soluzioni innovative e sostenibili (buone per l’ambiente). In questo scenario l’energia rinnovabile rappresenterebbe il 75% dei posti di lavoro dell’intero settore energetico.

Quindi, come emerge, non c’è bisogno di inseguire vecchi modelli o mini nucleari di fantasia, poiché il passaggio ben strutturato verso un’economia verde può essere un acceleratore di ripresa economia e del lavoro buono per le persone e il pianta Terra. Non è questione di essere (o meno) radical chic, ma di avere una chiara visione del futuro migliore per tutti.

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