da Invictus.

15 Aprile 1964. Al cospetto di 60.000 spettatori, si gioca la partita d’addio di uno dei più grandi protagonisti del calcio inglese. Era alto, biondo e con gli occhi azzurri. Eppure, non era inglese. Era tedesco. Quel giorno, sotto una pioggia scrosciante, gli applausi erano tutti per lui. Per l’ultima volta, quell’uomo difendeva la sua porta in maniera indomita. Era un calciatore, un portiere, un idolo dei tifosi, che quel giorno aveva deciso, all’età di 41 anni, di appendere le scarpette al chiodo. In un’altra vita, però, quell’uomo, era stato un soldato, un nazista, un nemico. Questa è la storia di un uomo che, grazie ad un pallone e al suo coraggio, realizzò la sua redenzione e divenne un eroe, una leggenda.
Bernhard Trautmann nasce a Brema il 22 ottobre del 1923. È il secondo genito di Karl e Frieda. Karl lavora presso la Kali Chemie, l’industria chimica del porto di Brema. Frieda è casalinga. Karl è un uomo mite, è un moderato. Ben presto è costretto a iscriversi al partito nazista. Aveva una famiglia da sfamare. Essere nazista, anche solo formalmente, era la condizione necessaria per lavorare. Bernhard, a differenza del padre, cresce con l’ideologia nazista nel sangue. È alto, biondo e con gli occhi azzurri. È l’ariano perfetto. A 10 anni, nel 1933, è un “Pimpfe” un giovane componente della Deutsches Jungvolk anticamera della Gioventù Hitleriana. È convinto che gli ebrei siano il male assoluto. Crede fermamente nel Fuhrer. È addestrato militarmente. È indottrinato ad essere un buon cittadino, un buon nazista, un soldato pronto a morire, se necessario, per la patria e per quei folli ideali. Fin da ragazzino eccelle nello sport. Gioca a calcio, come mediano, a pallamano e pratica l’atletica leggera. Nel 1940, con lo scoppio della Seconda guerra mondiale, il suo destino è segnato inevitabilmente. Per un ragazzo di 17 anni la guerra non è morte, orrore, è solo un’avventura. Bernhard si arruola nella Luftwaffe. Ha un sogno, pilotare aerei. Il suo è un desiderio irrealizzabile. È sprovvisto della formazione necessaria. Viene impiegato in noiose trasmissioni radio. Trautmann è tenace, vuole essere utile al suo Paese. Vuole combattere. Si fa trasferire nei paracadutisti, nel 5° battaglione della Luftwaffe. Il suo momento è arrivato. Viene impiegato sul fronte orientale, nella campagna di Russia. È irriducibile, coraggioso, determinato. Nei tre anni sul fronte russo si distingue al punto tale da essere decorato con ben 5 medaglie e una croce di ferro al merito. Viene spostato sul fronte occidentale. La Francia lo aspetta. La guerra per i tedeschi ha preso una brutta piega. Bernhard è un nazista convinto, ma, dopo anni di combattimenti, quella visione eroica della guerra non gli appartiene più. Il suo obbiettivo è solo sopravvivere. Viene fatto prigioniero dagli alleati nel marzo del 1945. Saranno gli inglesi ad acciuffarlo. “Ciao Fritz, gradisci una tazza di tè?”, con questa sarcastica battuta e con un fucile in pieno viso, i soldati di sua maestà Giorgio VI mettono fine alla carriera militare di Trautmann.
Bernhard è un Pow, prisoner of war. Viene trasferito nel “Campo 50” di Ashton in Makerfield, nel Lancaster, Inghilterra. Trautmann viene classificato prigioniero di categoria “C”. È un “nero”, un nazista irriducibile. Nel campo viene sottoposto ad una vera e propria rieducazione. Viene rieducato alla tolleranza, all’umanità, al perdono. Prende coscienza delle nefandezze del nazismo. In quel campo riassapora lo sport. Lo sport è parte integrante di quel processo di rinascita a cui è sottoposto. Torna a giocare a calcio come quando era bambino. È un mediano che non toglie mai la gamba. Il suo gioco è duro, ma leale. Durante uno di quegli incontri, si fa male ad un ginocchio. L’arbitro lo invita ad uscire dal rettangolo di gioco. Bernhard non ne vuole sapere, vuole continuare. Pur di continuare, decide di giocare in porta. In quel momento la vita di Bernhard, il soldato nazista cambia. Tra i pali è spettacolare. Le sue uscite coraggiose, i suoi lunghi lanci con le mani, il suo interpretare il ruolo in maniera innovativa affascinano gli spettatori. Sempre più gente, incuriosita da quel portiere tedesco, segue quelle gare tra Pows. Il nome di Bernhard comincia a circolare tra la gente. Nel 1948, la prigionia è finita. Trautmann potrebbe tornare a casa, in Germania, ma non lo fa. Decide di restare in Inghilterra. Trova lavoro presso una fattoria a Milnthorpe e allo stesso tempo è artificiere nell’unità di Huyton. È un lavoro pericoloso. Disinnesca bombe, bombe lanciate da quegli aerei tedeschi che tanto avrebbe voluto pilotare. Cambia il suo nome. Ormai non è più Bernhard, ma Bert, più anglosassone, più facile da pronunciare. Continua a giocare calcio. Trova un ingaggio nel St. Helens Town, una piccola squadra delle infime divisioni inglesi. Bert è forte, è bravo anzi un vero fuoriclasse. Tra quei pali è coraggioso, generoso, insuperabile. È il beniamino del pubblico, per tutti è Jerry Goalie, il portiere tedesco. Ormai il suo nome è sui taccuini delle maggiori squadre della prima divisione anglosassone. Nel 1949 viene ingaggiato dal Manchester City. Il City decide di sostituire la leggenda Frank Swift con il portiere tedesco. Ma la guerra è ancora viva nell’animo della gente. L’ingaggio di Bert solleva un’astiosa protesta popolare. 20.000 tifosi marciano e protestano contro Jerry Goalie. Non vogliono un nazista in squadra. La comunità ebraica di Manchester non può tollerare che un nazista, un criminale di guerra, possa giocare per il City. Ma non tutti sono contro Bert. Il rabbino comunale di Manchester, Alexander Altmann è dalla sua parte. Per Altmann, Trautmann deve giocare, non può pagare per tutte le atrocità che i tedeschi hanno perpetrato durante il conflitto. Anche il capitano del City, Eric Westwood è dalla parte di Bert. Westwood aveva combattuto in Normandia, come Trautmann, conosceva l’atrocità del fronte. Lo accolse in squadra con una frase che Bert non dimenticherà mai: “Non c’è guerra in questo spogliatoio. Ti diamo il benvenuto come deve essere dato a ogni membro della squadra. Sentiti a casa e buona fortuna”.
A 26 anni, Bert Trautmann fa il suo esordio in prima divisione contro il Fulham. A Craven Cottage il clima è infuocato. I tifosi del City e del Fulham accolgono il portiere tedesco con insulti e fischi. Lo stadio è contro di lui. Trautmann sfodera una prestazione maiuscola. Il City perde 1-0, ma Bert, disputando una partita formidabile, trasforma gli insulti, i fischi in applausi. A fine gara, sono tutti in piedi per lui. Negli anni Jerry Goalie trasforma il pregiudizio in stima e ammirazione. Non è più lo sporco nazista, il criminale. Nel 1956 Bert Trautmann viene eletto giocatore dell’anno.
Il 5 maggio del 1956 il City è in finale della Coppa D’Inghilterra. La partita si gioca a Wembley. Dinnanzi c’è il Birmingham. La partita è vibrante. Il City conduce per 3-1. Al 73° minuto c’è un’azione d’attacco del Birmingham. Trautmann esce furiosamente dai pali. Si tuffa a capofitto tra le gambe dell’attaccante della squadra avversaria, Peter Murphy. È un intervento coraggioso. Il collo di Bert sbatte rovinosamente sul ginocchio di Murphy. Il dolore è atroce. Trautmann perde i sensi. Si riprende. Torna tra i pali. Il dolore è forte, ma deve continuare a giocare. Le sostituzioni non sono ancora previste in quel calcio d’altri tempi. Bert strige i denti. La vista è annebbiata. Ciò nonostante continua a parare. Al triplice fischio il City vince, è campione. A fine partita il dolore persiste. Inizialmente si pensa ad una semplice botta. Ma il dolore continua. Una lastra evidenzia che Bert, in quello scontro di gioco, si era procurato la rottura di una vertebra e lo slogamento di altre 4. Poteva morire, restare paralizzato. Ha continuato a giocare con il collo spezzato. Trautmann, da quel giorno, divenne per tutti un eroe, una leggenda.
Il 15 aprile del 1964 erano in 60.000 allo stadio. Erano tutti lì ad applaudirlo e ammirarlo per l’ultima volta. Questa è la storia di un uomo che, in un’altra vita, era un nemico. È la storia di un uomo che, in una nuova vita, riuscì a trasformare l’odio in amore, il pregiudizio in ammirazione. È la storia di Bernhard Bert Trautmann, un uomo, un soldato, un calciatore, un eroe…un amico…
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