Nel 2016 trentamila umbri costretti a lavorare con i voucher.
Secondo le elaborazioni effettuate da uno studio dell’Ires Cgil dell’Umbria saranno 30 mila gli umbri che nel corso del 2016 sono stati costretti ad utilizzare i voucher.
Ormai è noto a tutti che il voucher (o buono lavoro) non prevede nessuna forma di tutela, né assistenziale, né previdenziale e nega diritti fondamentali come la maternità e la malattia. Non è esagerato definirlo una forma di legalizzazione estrema del lavoro precario.
Nonostante questi giudizi, ormai largamente condivisi, questa moderno imbarbarimento delle prestazioni lavorative continua a diffondersi in maniera abnorme e sta dilagando in tutti i settori.
L’Osservatorio nazionale sul precariato dell’Inps ci dice che nel periodo gennaio-settembre 2016 in Umbria sono stati venduti 1.868.945 voucher con un aumento del 36% rispetto allo stesso periodo del 2015. Le persone che sono state costrette a ricorrere a questo strumento sono stati nel 2014 17.790, saliti nel 2015 a quota 24.020.
E’ evidente a tutti quindi che non si tratta più di un fenomeno limitato o di nicchia visto che i cosiddetti ”voucheristi” ormai sono un intero popolo di ipersfruttati, che già nel 2015 erano l'11,1% del totale dei lavoratori dipendenti umbri (193.016 addetti complessivi) e che secondo le più recenti elaborazioni dell'Ires Cgil nel 2016 si attesteranno intorno alle 30.000 unità.
Questo dato abbinato al rapporto Istat sulle povertà descrive una situazione ormai drammatica.
Non solo l'Umbria risulta essere una delle regioni che si è impoverita di più (seconda solo alla Puglia) ma, numeri alla mano, viene indicata come una realtà ormai a bassissima intensità lavorativa, con un indice pari a 11.7, mentre altre regioni a noi vicine hanno una realtà molto diversa (Toscana 7.1 e Marche 9.1).
Bassa intensità lavorativa significa che nelle famiglie i componenti tra i 18 e i 59 anni hanno potuto lavorare meno di un quinto (il 20%) del tempo che avrebbero potenzialmente a disposizione.
Dopo questi ulteriori campanelli d’allarme è urgente, come ormai stiamo dicendo da anni, modificare innanzitutto profondamente le politiche economiche ma anche cancellare subito, evitando qualsiasi forma di maquillage, questa moderna barbarie dei voucher che comunque saranno oggetto, probabilmente nella prossima primavera, di una consultazione referendaria promossa dalla Cgil.
Mario Bravi,
Presidente IRES CGIL Umbria
Lunedì
12/12/16
21:46
Modificare profondamente le politiche economiche, non significa niente, è solo una frase fatta. Se, come immagino Bravi intenda, tali modifiche dovrebbero consistere in maggiori investimenti da parte dello Stato, sarebbe serio dire in che direzione si auspica tali interventi e soprattutto con quali fondi o più precisamente con quali storni di fondi, perché la coperta non si allunga da sola e se la tiriamo da una parte si accorcia da altre. Dunque senza dire quale spesa pubblica si taglia si parla del nulla. Che resta tale, cioè nulla, fino a quando quei tagli sono stati fatti, dato che in questo paese l'unico cambiamento che si vuole è quello che non tocca i propri interessi. Stesso discorso sui voucher, certo sono uno strumento di cui si sta abusando e che deve necessariamente essere più correttamente disciplinato, ma siamo sicuri che eliminarli migliorerà la situazione? La sua mera rimozione comporterebbe si il miglioramento di alcuni, diciamo uno su cento voucheristi, ma per gli altri novantanove vi sarebbe solo l'esclusione totale dal mondo del lavoro. Per migliorare la situazione complessiva del mondo del lavoro occorre altro che cambiare la leggi, che da sole non creano alcun posto di lavoro in più k meno, certo possono agevolare alcune tendenze o favorire un minimo di ridistribuzione ma niente più. Se vogliamo più occupati servono più investimenti e dato che il nostro Stato è fortemente indebitato e la spesa corrente più gli interessi passivi sul debito assieme superano le entrate correnti l'unica possibilità è un maggior investimento da parte di privati. Ma per avere più investimenti privati serve un quadro politico stabile, un sistema più semplice nel quale vi sia certezza circa gli esiti elettorali e soprattutto la governabilità del paese. Il popolo sovrano ha ritenuto che l'opzione di semplificazione sul tavolo, indubbiamente imperfetta e per diversi aspetti discutibile, non fosse preferibile al mantenimento dell'architettura istituzionale vigente (che nel contesto attuale rende improbabile che assicuri tali condizioni) e l'ha rigettata. Tale decisione non può che essere rispettata in tutto e per tutto, dunque non si capisce come però si possa pensare che come ogni scelta anche questa non abbia delle conseguenze e che queste dovevano essere considerate all'atto della scelta. Per questo trovo quantomeno curioso che chi si è legittimamente speso contro la riforma adesso si lamenti delle conseguenze che, in termini di mancanza di miglioramento del mondo del lavoro nel breve/medio termine, comporta.
Lunedì
12/12/16
22:33
Incorreggibile!
Martedì
13/12/16
09:44
Cortesemente mi spiegate perchè esprimere un proprio punto di vista, commentare un articolo, sarebbe un'atto disdicevole. Talmente disdicevole da invocare la correzione, anzi peggio da bollare come incorreggibile (cioè irrecuperabile, negletto) chi lo ha formulato. Il mio avere idee, su uno o più specifici aspetti (ma il discorso resta immutato anche se la divergenza fosse di carattere generale) diverse da quelle dell'articolista e dalle vostre mi rende - come lei evidentemente pensa (posizione chiaramente ed inequivocabilmente deducibile da quel "incorreggibile") - inferiore a voi? Questa è dunque la vostra idea di uguaglianza, che ci la pensa diversamente da voi è inferiore? Sinceramente per quanto mi sforzi non riesco a comprendere il vostro modo di porvi, dovreste essere contenti se attorno ad un articolo che pubblicate nasce un confronto un dibattito e se non condividete la posizione espressa da qualucno potere sempre rispondere nel merito evidenziando la vostra, alimentando a sua volta il dibattito. Che senso ha invece questa chiusura a riccio, questo rifiuto al confronto, questo vivere l'espressione di un diverso punto di vista come una sorta di attacco da cui difendersi? O, ancora peggio, essere diventati così supponenti da rifiutare il confronto convinti che chi esprime una posizione diversa dalla vostra sia per forza nel torto. Da quando essere di sinistra è diventato sinonimo di presuntuosi e di tifosi da stadio? Da quando un risultato elettorale (al quale fra l'altro, le forze politiche che si considerano a sinistra del PD hanno contribuito solo marginalmente che ne possano pensare e che quel 60% di No alla riforma costituzionale approvata dal parlamento italiano comporterà un aumento del consenso a quegli stessi partiti è del tutto improbabile, anzi quasi certamente impossibile. Perchè quie partiti per ritornare ad avere, cosa che gli e mi auguro, consenso fra i cittadini devono profondamente rinnovare idee, prassi e personale politico) da solo cambia radicalmente scenario e contesto sociale ed economico. A prescindere dall'importante valore politico di quel voto l'Italia oggi è la stessa di ieri, con gli stessi limiti e problemi e pensare che quel voto invece abbia cambiato il quadro in cui ci muoviamo o che adesso vi sia più spazio per politiche pubbliche o interventi da parte dello Stato, come Bravi invoca, è privo di ogni ragionevole fondatezza al punto che può essere giustificata solo da ingenuità o, più probabile, malafede, solo per ricercare un facile consenso.
Martedì
13/12/16
17:29
Spieghi lei, purtroppo, che senso ha sostenere che "chi si è legittimamente speso contro la riforma adesso si lamenti delle conseguenze che, in termini di mancanza di miglioramento del mondo del lavoro nel breve/medio termine, comporta". Le facciamo osservare che il referendum si è celebrato da pochi giorni per cui non può aver prodotto nessuna conseguenza in termini di occupazione, tanto più che le leve del comando sono ancora strettamente tenute da chi voleva la riforma da lei sostenuta. Inoltre le sue sono previsioni prive di qualsiasi base scientifica, solo parole. Si rassegni, dunque: il popolo italiano, che, al contrario di lei non ha capito nulla, ha detto NO al 60%.
Martedì
13/12/16
18:40
Complimenti a Umbrialeft che si sta avvicinando sempre di più al modello della Pravda!
Mi chiedo perché si dà la possibilità ai visitatori del sito di lasciare un commento quando poi la redazione interviene denigrando pesantemente le persone quando non condivide il loro pensiero. Non è la prima volta che noto questa pessima abitudine.
Forse è per questo che sono sempre meno i lettori di Umbrialeft e ancora meno quelli (compreso il sottoscritto, ma è l'ultima volta) che osano commentare.
Ancora tanti complimenti, siete un vero esempio di democrazia
Martedì
13/12/16
18:51
Caro amico, Umbrialeft consente a tutti di commentare criticamente, ma sarebbe davvero illogico se questa possibilità non potesse esercitarla anche la redazione. O si vuole che la libera espressione del pensiero valga solo per una par te e non per l'altra? Quanto ad offese o denigrazioni non ci sembra di avere mai commesso questi peccati, anche perché non ci siamo mai riservati l'ultima parola.
Mercoledì
14/12/16
01:16
Purtroppo non si comprende che il confronto e' sempre fecondo se avviene in termini civili. Mi sono sempre sforzato di articolare il mio pensiero proprio per cercare di esprimere con chiarezza il mio punto di vista, così da poterlo discutere nel merito, che lo si condividesse o meno. Mi rendo però conto che progressivamente la disponibilità al confronto in questo sito è venuta meno, sostituita dal rifiuto e dal rigetto. Comprendo che la sinistra e chi crede nei suoi valori fatichi oggi ad orientare coerentemente le proprie aspirazioni e le proprie convinzioni in un mondo così disgregato e complesso. Disgregato e complesso al punto che proprio le classi più deboli, quelle che più dovrebbero essere attratte dalle idee della sinistra, rifuggono dai suoi rappresentanti politici orientando il proprio voto in altre direzioni. Occorre dunque uno sforzo per cercare di capire come il mondo sta cambiando, come siano cambiati i rapporti sociali ed economici e come la globalizzazione ci riconduce all'interno di un rapporto di interdipendenza dal quale non è possibile estraniarsi e con il quale occorre necessariamente misurarsi. Capire richiede però impegno ed umiltà, richiede mettersi in discussione e agire di conseguenza. Più facile e rassicurante restare saldi nei propri convincimenti e tracciare gli altri di essere incorreggibile o peggio. Più facile, quanto deleterio. Io comunque ci ho provato e, convinto dell'insegnamento di Brecht, con piacere mi sono seduto dalla parte del torto.
Mercoledì
14/12/16
00:51
Il mio punto di vista l'ho chiaramente espresso nel mio primo intervento, se chiedete spiegazioni in merito è perché evidentemente non vi siete neanche degnati di leggerlo per intero. Dato che repetita juvant, lo riposto. " per avere più investimenti privati serve un quadro politico stabile, un sistema più semplice nel quale vi sia certezza circa gli esiti elettorali e soprattutto la governabilità del paese. Il popolo sovrano ha ritenuto che l'opzione di semplificazione sul tavolo, indubbiamente imperfetta e per diversi aspetti discutibile, non fosse preferibile al mantenimento dell'architettura istituzionale vigente (che nel contesto attuale rende improbabile che assicuri tali condizioni)". Si tratta naturalmente di un personale punto di vista che potete non condividere, ma bollarmi come "incorreggibile" non è certo in alcun modo una contestazione di merito ma solo una esternazione di arroganza e mancanza di rispetto che non vi fa onore. Per quanto attiene alla scelta referendaria della maggioranza del popolo italiano io la rispetto pienamente ed in alcun modo penso o sostengo che non abbia compreso nulla. Sono però altresi convinto che l'attuale quadro istituzionale e politico non favorisca gli investimenti privati e che senza di essi difficilmente aumenteranno le opportunità di lavoro in questo paese, almeno non nel breve termine. Chi ha legittimamente votato contro la riforma di questo dovrebbe aver coscienza, specie se un sindacalista di lungo corso quale Bravi è. Tutto qui ne più, ne meno.